Il pittore delle geometrie impossibili e irrazionali

La scomparsa di Achille Perilli a 94 anni

Achille Perilli ci lascia a 94 anni. Se n’è andato uno dei più avvincenti interpreti dell’Astrattismo del ‘900. E, per un amaro gioco del destino, lo ha fatto proprio alle soglie di un appuntamento importante: la mostra “Piero Guccione e Achille Perilli. Ai confini dell’astrazione" a cura di Daniela Ferrari e Marco Di Capua. La mostra, che offre un confronto inedito fra due grandi maestri agli antipodi della rappresentazione del reale, aprirà il 20 ottobre al MART di Rovereto.

Nasce a Roma nel ‘27, conosce Piero Dorazio e Giovanni Guerrini fra i banchi di scuola, con i quali forma un sodalizio invincibile, nella vita come nell’arte. Il gruppo impara l’arte del ‘900 fra le pagine di Margherita Sarfatti e nei musei e nel ‘44 organizza la prima mostra di studenti-pittori ro­mani in un liceo.

Una tesi di laurea su Giorgio de Chirico, iniziata e mai conclusa, rivela molto di quel ragazzo, sensibilissimo creatore e organizzatore, che nemmeno ventenne attinge già a piene mani negli ambienti dei circoli culturali italiani: nel ‘45 fonda il Gruppo Arte Sociale (GAS) insieme a Dorazio, Guerrini, Vespignani, Buratti e altri  e parallelamente inaugura una stagione editoriale con due riviste, “Ariele” e “La Fabbrica”, seguite più tardi da “L’Esperienza Moderna” diretta al fianco di Gastone Novelli, e dalla rivista di architettura “Spazio” per la quale firma nel ’51 il saggio "Quarant’anni d’arte astratta in Italia”. Contribuisce, inoltre, alla nascita del celebre manifesto Forma 1 del ‘47, creato insieme ad Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Sanfilippo e Turcato, in difesa dell’arte astratta; in seguito, negli anni ’70 e ‘80 aderisce al Manifesto della Folle Immagine nello Spazio Immaginario e alla Teoria dell’irrazionale geometrico.

L’educazione artistica di Achille Perilli si svolge tra l’Italia e la Francia, dove a Parigi conosce i Fauves e i cubisti Picasso e Matisse. Negli ambienti italiani del futurismo si lega fortemente ad Alberto Magnelli, che conosce grazie a Forma I. Con il gruppo di Forma I la sua ricerca pittorica si intride delle suggestioni di due maestri dell’astrattismo puro, fondamentali per la formazione del suo futuro vocabolario segnico: da Paul Klee impara il rigore dello spazio, da Kandinsky la liricità della forma. A quest’ultimo dedica “Omaggio a V. Kandin­skij”, l’unico numero pubblicato della rivista “Forma 2” edita dalla Liberia-Galleria L’Age D’Or, inaugurata con Dorazio e Guerrini nel ‘50. Grazie alla potente macchina organizzativa dell’Age D’Or, gli anni ‘50 saranno per l’artista un periodo ricchissimo e frenetico di mostre, eventi, scritture editoriali e produzioni teatrali. Il ‘51 in particolare sarà un’annata formidabile: in collaborazione con l’Art Club organizza la mostra “Arte astratta e concreta in Italia” alla Galleria Na­zionale d’Arte Moderna, ricordata come la prima rassegna completa dell’astrattismo italiano. E sempre nel ‘51 Lucio Fontana invita l’Age D’Or a collaborare alla Triennale di Milano, dove Perilli, Dorazio e Guer­rini realizzano insieme due grandi pittu­re murali, premiate con medaglia d’argento.

Tra tutti i futuristi, in Alberto Magnelli l’artista troverà non solo un maestro di visione, specie nella declinazione dello spazio pittorico, ma una guida fondamentale di libertà intellettuale. “Vive in lui l’anima dello sperimentatore, dell’alchimista. […] Affiorano nei suoi discorsi ricordi lontani e vicini, e gli basta una frase per definire un uomo. Ha una cultura profonda e comprensiva. Questo è l'uomo Magnelli” scrive di lui Perilli.

Attratto da sempre dalla correlazione fra le arti, la letteratura, la poesia e l’architettura, Perilli trova soprattutto nel teatro un potente canale di interscambio con l’arte intendendolo come contenitore di forme e linee, come dialettica fra forma e spazio, come sperimentazione della trasformazione spaziale. Perilli sarà attivissimo davanti e dietro i palchi italiani, come regista, scenografo, costumista e organizzatore dà vita a diversi spettacoli: con Nanni Balestrini ad esempio nel ’67 porta in scena a Roma “Grammatica no stop/teatro 12 ore” spettacolo sulla trasformazione spaziale.

Altro palcoscenico culminante è quello della Biennale di Venezia, che Achille Perilli calcherà per quattro edizioni: nel ‘52 e nel ‘58 con alcuni disegni in mostre collettive, e poi nel ‘62 e ‘68 con due retrospettive personali. Con un corpus impressionante di mostre personali e collettive in oltre settant’anni di attività, si conclude adesso la parabola artistica del “pittore delle geometrie impossibili e irrazionali”, così ricordato dal Ministro Franceschini. Audace sovvertitore del reale, Perilli studia attentamente l’astrattismo novecentesco europeo per astrarlo infine in strutture dinamiche complesse, irrazionali e caleidoscopiche. Conia un nuovo linguaggio di segni e figure ambigui, alieni allo spazio e nello spazio fluttuanti, corposi e leggerissimi, vuoti e pieni, armonici e inquietanti. Sdoppia il colore in prismi traslucidi resi nudi da modulazioni cromatiche austere ma gradevoli. Ribalta i canoni tradizionali delle avanguardie per creare nuove icone, coerenti per quanto illogiche, certamente intrise di spirito innovatore.

Più di tutto, Perilli si rimette in discussione, dopo anni di carta e tela, portando l’astrattismo verso nuovi orizzonti, spingendolo oltre la cornice limitata del medium piano. Nell’ultimo periodo infatti si dedicherà anche alla scultura e all’incisione, mantenendo però uno sguardo lucidissimo sulle infinite declinazioni del piano bidimensionale con opere raffinate come la serie dei Fumetti o le Geometrie irrazionali degli anni Duemila. A partire dal ‘63 Perilli produce le prime sculture in legno dipinto, Le Colonne, e inizia la serie degli Alberi, lavori più maturi ricavati da tronchi arborei su cui l’artista isola porzioni di superficie praticabile con pennelli e colori accesi e brillanti. Gli alberi vengono presentati al pubblico per la prima volta nel ‘96 da De Crescenzo e Viesti con la grande mostra “Gli Alberi e i Grandi”. Il passaggio alla scultura è per Perilli una scommessa, come egli stesso scrive in occasione della mostra: “La scommessa da vincere è portare nel tridimensionale quanto sono riuscito ad accumulare come immagine sulla superficie della pittura, per poter penetrare nel più profondo mistero del nostro mondo visivo.” L’avrebbe vinta a mani basse, la scommessa. Il suo mistero invece è destinato a rimanere irrisolto.

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