Tra il dire e il fare c’è di mezzo l’IA - L'arte al tempo degli algoritmi

Se avete amici appassionati d'arte, sicuramente qualcuno di loro avrà, prima o dopo, pronunciato il termine “Bansky”, storpiatura del nome del celebre e misterioso street artist Banksy. È uno degli errori verbali più frequenti nell'era del “piuttosto che” usato in modo improprio. Ma avete mai provato a digitare “Bansky” su Google? Il cervellone digitale vi risponderà con un enigma familiare: “Forse intendevi Banksy…”. A questo punto la domanda è: come lo sa? La risposta può lasciare molti perplessi: Google lo sa perché è la risposta statisticamente più probabile.

La parola "statistica", spesso relegata a noiosi dibattiti pre-elettorali o a disquisizioni economiche nei quotidiani finanziari, è in realtà la chiave nascosta per comprendere molti degli strumenti tecnologici odierni, venduti come "Intelligenza Artificiale" o AI. Se consideriamo, infatti, che gli algoritmi AI più comuni – definiti sub-simbolici – sono quelli che ci suggeriscono i film sulle piattaforme di streaming o che analizzano la disposizione dei prodotti nei supermercati in base ai comportamenti dei consumatori, notiamo che il loro funzionamento si basa più sull'analisi dei dati storici che su un vero e proprio ragionamento intelligente. Questo meccanismo genera una sorta di conformismo nelle risposte di queste "intelligenze", che forniscono sempre e soltanto la soluzione più probabile.

Tutto ciò potrebbe essere accettabile, anche se è forse eccessivo definire questo processo "intelligente". Ma quando si parla di arte e creatività, la faccenda si complica. Le opere d'arte generate da software basati sull’IA sono, di fatto, il risultato di una sorta di media statistica che deriva dalla digestione di milioni di opere d’arte precedentemente analizzate. Ne consegue che il rischio di trovarsi di fronte a un artista automatico un po’ scopiazzatore è piuttosto concreto.

Molto spesso quando si parla di algoritmi creativi sentiamo parlare di “processi generativi” o “opere d’arte generative”, viene dunque da chiederci se “generare” è il termine più adatto a questo tipo di processo, oppure sarebbe meglio far riferimento alla natura statistica di questo particolare sviluppo creativo.

Per fortuna, esistono ancora gli artisti fatti di carne, ossa e neuroni, che con la loro creatività, spesso imprevedibile e illogica, mandano in tilt l’approccio statistico. Uno degli utilizzi più interessanti dell’IA, infatti, è quello di relegarla a semplice strumento tecnico nelle mani di un creatore senziente. Così come un pennello o uno scalpello, lo strumento digitale viene utilizzato per dare vita a ciò che l’artista ha in mente. L’opera nasce nel cervello, non nel pennello.

“Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani” – Prima Legge della Robotica, Isaac Asimov.

L'Autore

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Dall'ingegneria all'arte passando per la digital strategy.
Gallerista dal 2005, capo dipartimento NFT per Pandolfini Casa d'Aste dal 2022.
Head of Digital per AW ArtMag dal 2021.

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