Per l'architetto, la storia del proprio tempo è il vero committente
Incontriamo Mario Botta, certo attratti dalla sua fama di archistar ma affascinati soprattutto dai suoi volumi puri, dalle costruzioni cilindriche, dall’utilizzo di pietre e mattoni attraversati da grandi spaccature. Un’architettura colta, di chi si è formato sulle lezioni di Le Corbusier, Carlo Scarpa, Louis Kahn.
Lei ha dichiarato che l’architettura “è in grado di trasformare la natura in cultura”.
L’architettura è la disciplina che organizza lo spazio di vita dell’uomo. Questo significa che l’uomo modella con il proprio pensiero e la propria razionalità la natura “vergine”. Un aspetto di questo nostro mestiere del costruire è la possibilità di modificare un equilibrio esistente nel tentativo di proporne uno nuovo con un valore aggiunto. Il primo segno del costruire è sovrapporre alla terra una pietra: tutte le architetture portano nel loro grembo questa condizione assoluta di essere parte del suolo. Attraverso l’opera costruita l’uomo perpetua il confronto con la terra-madre e compie un’azione che trasforma una condizione di natura in un fatto di cultura. Posare un manufatto sul suolo è una sfida all’equilibrio esistente nella ricerca di nuovi valori ambientali capaci di essere testimoni e specchi del proprio tempo.
Quale delle sue opere la rappresenta maggiormente?
Ogni opera dovrebbe essere la “figlia” dell’autore per cui è molto difficile scegliere tra quanto è già stato creato. Il vero interesse non risiede nel lavoro compiuto ma nel processo del “fare”. Comunque, se proprio devo segnalare un lavoro – lento e sofferto – cito il MART, museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto poiché, al di là di essere un contenitore d’arte, è un progetto che modella una parte di città che in precedenza non esisteva. Questo dovrebbe essere l’obiettivo di ogni progetto: far sì che la storia, la cultura e la memoria di un luogo vengano interpretate per creare spazi idonei alla vita dell’uomo.
Posare un manufatto sul suolo è una sfida all'equilibrio esistente nella ricerca di nuovi valori ambientali
Tra le sue importanti collaborazioni ricordo Le Corbusier
Le Corbusier è stato l’architetto del XX secolo che più di altri ha saputo trasformare la storia del proprio tempo in progetti di architettura; si pensi alle case popolari e al concetto di Existenzminimum nell’immediato dopoguerra, o alla chiesa di Ronchamp o ancora al progetto della nuova capitale del Punjab, Chandigarh.
Può parlarci degli ultimi progetti?
Sto lavorando su più scacchiere. Non è una prerogativa dell’architetto quella di scegliere i lavori, ciò che può fare è invece accogliere le richieste della committenza – e la storia del proprio tempo è il vero committente. In concreto, i progetti ai quali sto attualmente lavorando in Svizzera sono gli impianti termali con l’utilizzo di sorgenti d’acqua naturale a Baden, l’ampliamento del centro sportivo di Tenero con un programma funzionale che richiede palestre, uffici amministrativi e una mensa collettiva e la nuova pista del ghiaccio di Ambrì. Tra i progetti, la chiesa di San Rocco a Sambuceto in Italia; una piccola cappella per la storica azienda del vetro Lalique a Wingen, in Francia; il campus universitario per la Luxun Academy of Fine Arts a Shenyang, Cina e la basilica di Nostra Signora del Rosario a Namyang, Corea del Sud.