Non sarà facile dimenticare le Olimpiadi di Parigi.
Quelle location irripetibili, la magia del braciere nei giardini delle Tuileries, la partecipazione corale di un pubblico giovane, allegro, entusiasta, capace di appassionarsi a qualsiasi evento, le performance di personaggi quali Céline Dion, Tom Cruise, le mille storie personali e politiche fiorite spesso intorno ai cinque cerchi resteranno una febbre vivace, eccentrica e provocatoria che ci accompagnerà per lunghi mesi.
Ma da Parigi, un po’ sottotraccia, è ripartita un’idea fascinosa e suadente: reintrodurre la cultura alle Olimpiadi, a partire dalla prossima edizione di Los Angeles del 2028. Lo stimolo arriva da Pharrell Williams, direttore creativo di Louis Vuitton, un testimonial di spessore. Recuperando il pensiero di Pierre De Coubertin, storico e pedagogo, inventore dei giochi olimpici moderni, è bastato ricordare che, dal 1912 al 1948, accanto alle gare sportive le Olimpiadi erano anche gare di discipline artistiche.
Cinque le categorie: architettura, letteratura, pittura, scultura, musica. Tutto nello spirito di Olimpia, quando le belle arti si fondevano armoniosamente con lo sport con il loro substrato educativo e pedagogico riconosciuto da secoli. Una sola, ovvia pregiudiziale: tutte le opere dovevano essere ispirate al gesto sportivo, secondo un canone di bellezza di ispirazione naturale.
Fu così anche cent’anni fa, nel 1924, proprio a Parigi per un’edizione artisticamente memorabile. La giuria, guidata allora da Igor Stravinsky, si trovò a decidere su 193 artisti partecipanti. Ma la lenta decadenza del binomio tra arte e sport trovò, nel tempo, i suoi virus in quella stridente dicotomia tra professionismo e dilettantismo che, per anni, ha avvelenato i pozzi olimpici, portandosi poi al suo capolinea dopo la fine del secondo dopoguerra.
Oggi, dopo che questo nodo gordiano è stato messo in soffitta già dal 1985, non si capisce bene perché lo splendore di un binomio straordinario non possa essere riproposto.
Pharrell Williams ha scelto una location iconica per avanzare l’ipotesi: la Fondazione Louis Vuitton, l’incredibile creazione di Frank Gehry che costituisce uno dei brand architettonici più moderni e prestigiosi a livello mondiale. Una serata olimpica preinaugurale con la partecipazione, tra gli altri, di Steven Spielberg, Mick Jagger, Charlize Theron, Serena Williams e James Le Bron.
In realtà, almeno ufficialmente, si trattava di raccogliere fondi per la squadra olimpica dei rifugiati politici. Nei fatti, come Pharrell Williams, tedoforo olimpico a Saint-Denis, ha poi dichiarato all’Associated Press, si trattava di rilanciare il ruolo e la presenza della cultura nel panorama olimpico, anche alla luce delle tante sollecitazioni che provengono ormai costantemente dal mondo degli sponsor.
In sintesi, visto il tradizionale successo delle Olimpiadi, superato l’inutile steccato del dilettantismo, l’arte può trovare in occasioni del genere un modo per esaltarsi, per recuperare la sua centralità, riportandosi sotto gli occhi del mondo. Recuperando nel binomio tra arte e sport l’estatica, classica, preziosa dimensione del suo antico passato.