Grande Visionario - Ripercorriamo la lunga carriera artistica di Novello Finotti

Memorabili l’Omaggio a Shakespeare alla XLI Biennale di Venezia e il potente Anubi dell’88-89

Novello Finotti (Verona, 1939) è tra gli ultimi grandi artisti che l’Italia può vantare. Innamorato della scultura in senso fisico, quasi carnale, per lui la pietra è gioia piena, desiderio morboso e gentile, lussuria tattile che sopravvive in una dimensione “altra” nella quale l’idea non è più solamente impalpabile “perché fatta della stessa natura dei sogni” ma tanto reale da lasciare sgomento anche l’osservatore più navigato. In ciò ricade il potere erotico e prodigioso delle sue opere, in quell’incapacità di trattenere lo sfiorare delle dita sulle superfici, una sensazione di voluttà e atterrimento che deve per forza essere esorcizzata dal tatto. Finotti è però molto altro: in un piccolo ma significativo catalogo del 1980 sulla “scultura del cambiamento” che l’artista mette in atto proprio a cavallo di quel decennio, Gian Lorenzo Mellini scrive che “quel suo universo mostruoso ed arguto ha lontane radici alto-romantiche, antiumanistiche, bruegheliane, arcimboldesche, füssliane e simili” a dimostrazione di quanta follia creativa ci sia da sempre nel suo fare.

ATTINGE ALLA MEMORIA ARCHETIPICA DOVE TROVANO SPAZIO I DESIDERI E I DISAGI DELL'ESSERE UMANO

Finotti attinge infatti a una memoria collettiva esperienziale e archetipica, celata dietro lo spesso strato delle ipotesi dove trovano dimora e riparo i desideri e i presagi dell’essere umano: una sorta di realismo visionario dove la possibilità plastica prende sostanza e si fonde con la materia scultorea, marmo o bronzo, in un continuo movimento delle parti. Figlio di quell’unicità consegnata al gesto artistico tipica di chi è preso da un rapporto a due, la sua è scultura classica a tutti gli effetti, colma di stilemi assodati e di geniali trovate, di forme e soluzioni ideali che modellano un universo molteplice di gesti e rotondità, di gusci e di corna, di strumenti musicali e solidi geometrici per i quali la transizione, la trasformazione - tra surreale e futurismo - si mostrano con folle lucidità iconografica. Del resto Novello è spesso attratto a queste visioni, plasmate mediante le evoluzioni di un virtuosismo puro ed efficace: è parte integrante del suo carattere di uomo e della sua caratura di artista.

OPERE DAL PRODIGIOSO POTERE EROTICO CHE CHIEDONO DI ESSERE ACCAREZZATE

E se nell’Omaggio a Shakespeare (1980-84) - tra le sue più celebri installazioni scultoree e vanto della XLI Biennale di Venezia (che già nel 1966 gli aveva dedicato una grande sala) - ancora stupiscono la “freschezza mimetica” di quei cuscini di pietra e la consapevolezza morale della latente violenza che l’amore e la morte, come inganno finale, applicano all’esistenza dell’uomo (“Dormire, forse sognare, sì, lì è l’intoppo: perché in quel sonno di morte quali sogni possono venire...”), nei suoi splendidi Anubi (1988-89) è la perfezione epidermica del nero belgio (difficile, questo marmo, si scaglia al solo guardarlo e non si torna indietro) a far sobbalzare i sensi, ancora increduli al cospetto di ciò che non si pensa possibile. Ecco allora che la sua mano si fa puro intuito, a metà tra un’austera eleganza animale scandita dalla linea della luce e un’aderenza al più inevitabile dei destini che trova ancora, a distanza di decenni, pienezza di intenti.

FORME E SOLUZIONI IDEALI SI MOSTRANO CON FOLLE LUCIDITÀ ICONOGRAFICA

Finotti osserva dunque il tempo oltre la soglia della mente, si avventura nel viaggio ultimo dell’esperienza per cogliere ciò che è stato, ciò che sarà o ciò che dovrebbe essere, proprio nel momento in cui le tre possibilità collassano. Il risultato è quello di un terribile incanto visuale al quale è difficile sottrarsi, un bagliore di cruda verità creativa che, come una sirena, trascina verso di lei senza difese.

 

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