Conversazione con Paolo Guzzini
Noto imprenditore e grande collezionista, ha portato insieme a due dei soci fondatori e a un eccezionale team di manager, l’azienda di famiglia a una affermazione mondiale. Ultima cena È loro l’illuminazione dell’ di Leonardo a Milano
Tanti gli interventi nei più prestigiosi musei al mondo in contesti assai differenti tra loro
Incontro Paolo Guzzini nel suo centralissimo studio milanese. Modi affabili e sorriso aperto caratterizzano questo capitano d’industria che ha fortemente contribuito, con costante impegno insieme a due dei soci fondatori e a un eccezionale team di manager, alla affermazione mondiale dell’azienda di famiglia.
Partiamo dagli inizi, Dott. Guzzini: e la luce fu.
L’azienda storica di famiglia è la Fratelli Guzzini, fondata nel 1912. Si sono succedute tre generazioni di imprenditori oltre a una parte della nostra che è la quarta. Il settore di riferimento comprende l’arredo della tavola e gli utensili per la cucina. I primi prodotti si realizzavano con materiale naturale, quale il corno di bue. L’avvento del plexiglass aprì a una nuova concezione del prodotto, portando colore, bellezza e praticità sulla tavola degli italiani. Ancora non ci si occupava della luce, poi nata dalla visione dei due fratelli Giovanni e Raimondo come un possibile ampliamento di gamma. Un’idea che, pur non incontrando il favore della seconda generazione, si concretizzò nel 1958 come una new company autonoma e indipendente espandendosi fino a diventare l’attuale multinazionale tascabile.
La sua culla: una bellissima cantina del ‘400 con il soffitto a volte, sottostante il piano della stanza dove dormivo da bambino. Seguirono collaborazioni con i più acclamati e riconosciuti architetti internazionali. La nostra famiglia fu la prima, fin dagli anni ’50, a portare nelle Marche i più importanti designer italiani e stranieri. Da lì un costante crescendo fino ai nostri giorni con le collaborazioni in essere con nomi quali Piano, Fuksas, Libeskind, Wilmotte fra i tanti altri. I prodotti di allora non dovevano più essere solo utili ma anche belli. Oggi sono richieste affidabilità, efficienza e sostenibilità. Tanti i ricordi con personalità illustri con i quali siamo rimasti in rapporti d’amicizia che durano ancora.
L’illuminazione dell’Ultima cena di Leonardo a Santa Maria delle Grazie è, forse, l’intervento più noto.
L’illuminazione del capolavoro di Leonardo, rappresentò una sfida al limite ’Ultima cena l delle tecnologie disponibili all’epoca, poi riprese e adattate agli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Dobbiamo i risultati eccellenti ottenuti alla tenacia e competenza di tutti i tecnici e ingegneri coinvolti nel progetto.
Ricordiamo anche altri interventi altrettanto significativi.
Nostro fiore all’occhiello: gli innumerevoli interventi eseguiti nei più prestigiosi musei del mondo in contesti architettonici, espositivi, strutturali e non ultimo climatici completamente diversi: da Villa Borghese a Roma al Louvre di Parigi, dal Museo delle belle arti dell’Avana fino all’Hermitage di passando per quello della compagnia San Pietroburgo aerea Etihad a Dubai, fra i tanti altri. Il museale sta alla luce architetturale come la Formula 1 sta al settore dell’auto. In entrambi i casi parliamo di ricerca di nuove soluzioni con la finalità di migliorare in forma sempre più spinta le qualità e dei prodotti industriali di serie
Dal design all’arte il passo è breve.
Ho avuto la fortuna di nascere avvolto dal bello e ho ereditato da mio padre Giovanni la medesima sensibilità. Dostoevskij diceva “la bellezza salverà il mondo”, non mi sembra casuale che lo stesso tema sarà il filo conduttore del padiglione italiano al prossimo Expo di Dubai. In più di 40 anni ho selezionato e riunito opere che, sebbene non in modo esaustivo, raccontano 30 secoli di storia dell’uomo. Ogni lavoro esprime pensieri e sentimenti dell’artista in un determinato momento, a volte mossi da situazioni personali, altre da contesti sociali, politici e religiosi.
Che cosa significa per lei collezionare opere d’arte.
Un percorso di conoscenza della storia e delle differenti culture. Iniziai collezionando opere del ‘600 e del ‘700. In seguito, i rapporti di amicizia con critici d’arte, importanti collezionisti e galleristi come i fratelli Orler e Roberto Ducci hanno contribuito a richiamare la mia attenzione per aprire una visione più ampia al cuore e alla mente, fino a mettere insieme, con passione ma anche sacrificio l’attuale raccolta composta da oltre 300 pezzi. Pensi che con i galleristi citati il rapporto di frequentazione iniziò oltre 20 anni fa, per sfociare poi in fiducia e collaborazione.
"Il museale sta alla luce architetturale come la Formula 1 sta al settore dell'auto"
Il passaggio successivo sarà accorpare buona parte della raccolta in una fondazione?
Sto riflettendo. Desidero trovare le migliori soluzioni possibili per dare continuità nel tempo alla mia collezione, tramandando bellezza alle future generazioni. Non escludo di creare una fondazione per aprire la raccolta al pubblico, come non escludo alternative compatibili al vaglio di consulenti. La decisione finale, se ci sarà, potrà solo essere condivisa con le mie figlie Vanessa e Lucrezia, che di diritto rappresentano il primo naturale livello di continuità. Lei è sempre vissuto immerso nella bellezza.
Dopo il passaggio di mano dell’azienda di cosa si occupa?
Oggi i miei interessi fanno capo alla PG CAPITAL Holding di famiglia. Stiamo investendo in vari settori. Acquistiamo partecipazioni di minoranza anche attraverso veicoli dedicati, per esempio al campo immobiliare residenziale a Milano, con la PGFAMA, che potrebbe presto estendersi nel settore ospitalità di nicchia rivolto a una clientela esigente in Italia e all’estero. Ci interessano anche i settori farmaceutici e parafarmaceutici, in questo particolare momento di loro accelerato sviluppo strutturale Il progetto è quello di impegnarmi a tempo pieno per la crescita e sviluppo della PG CAPITAL, ma seguendo un modello imprenditoriale a me nuovo: non più fare ma lasciar fare, contribuendo, grazie all’esperienza accumulata negli anni, a supportare e in parte coordinare le varie attività. Anche per queste ragioni ho recentemente ceduto la mia partecipazione nella Holding storica di famiglia FIMAG SPA.
In collezione 300 opere che raccontano 30 secoli di storia
I lunghi periodi di isolamento forzato causati dalla pandemia spingono alla rielaborazione del concetto stesso di abitare. Come si vivrà negli appartamenti a cui sta pensando?
Si vivrà in casa molto più di prima e in modo diverso. Lavoreremo anche in smartworking. Questa nuova modalità lavorativa per noi europei è stata un’esigenza derivata dalla pandemia e facilitata dalle tecnologie. Negli Stati Uniti ciò è abituale da decenni. Il nuovo concetto di abitare nelle città prevede appartamenti provvisti di tutti i comfort con una suddivisione degli spazi da dedicare al lavoro, al wellness e al fitness, ci saranno ovviamente le zone conviviali e quelle per il riposo. Fondamentale è l’uso della domotica a per una maggiore facilità di controllo e gestione a distanza, tanto delle varie utenze quanto delle altre tecnologie sempre più presenti nelle abitazioni del futuro.