Tema principale della ricerca: l'identità culturale, l’eredità coloniale, il rapporto tra uomo e ambiente
Una complessa costruzione di sequenze spazio-temporali è la mostra “A seed under our tongue” alla Pirelli HangarBicocca, a cura di Roberta Tenconi. È la prima antologica, in un’istituzione italiana, dell’artista e filmmaker uzbeka, Saodat Ismailova, giovane testimone dell’era post-sovietica.
Tutto in scena contemporaneamente: video, effetti sonori, elementi in movimento, scultura, poesia per una grande installazione che sollecita una visione dinamica, multifocale e stratificata. Dodici opere, sei film e sette sculture delineano la ricerca dell’artista attorno ai temi della propria identità culturale, dell’eredità coloniale e del rapporto tra umanità e ambiente.
Nata 43 anni fa in Uzbekistan, ha alle spalle importanti riconoscimenti internazionali come due Biennali di Venezia, Documenta 15 a Kassel, il Festival di Berlino
Saodat Ismailova nasce 43 anni fa in Uzbekistan, a Tashkent, dietro le spalle ha già un ventennio di esperienze e riconoscimenti espositivi internazionali: dal Film Festival di Torino nel 2004 alla Biennale di Venezia del 2013 e 2022, a Documenta 15 a Kassel, al Festival di Berlino nel 2024. Nel 2021 fonda anche il gruppo di ricerca DAVRA, dedicato alla documentazione e diffusione della cultura dell’Asia centrale per perpetuare qualsiasi forma di conoscenza socio-culturale.
Un’artista che, in altri tempi, avremmo potuto definire militante per la capacità di combinare etica e estetica, con una nuova responsabilità dello sguardo. Al centro della sua poetica, l’idea portante del seme - che dà il nome alla mostra - come origine di tutte le cose perché, come scrive: “Racchiude memorie, segreti e misteri. È essenziale, fragile ed eterno: il fondamento del passato e del futuro. Rigenera e guarisce, si perde per poi rivelarsi”.
Ha fondato nel 2021 il gruppo DAVRA dedicato alla documentazione e diffusione della cultura dell'Asia centrale
Parole eloquenti per capire la sua necessità di intrecciare vari piani culturali in una continua lettura del senso del confine e del dialogo tra tradizione e innovazione. Ecco, allora, che quel seme di dattero tenuto sotto la lingua e tramandato di bocca in bocca darà vita dopo molti anni a una visionaria foresta di noci, come la leggenda narra.
Il seme come simbolo del custodire, tramandare, ma anche del trasmutare degli eventi, uno dentro l’altro, per fare della storia un sistema mobile e accogliente, un ponte verso nuove consapevoli convivenze.
L’interrogazione tra permanenza, transitorietà, memoria parte dalla sua antichissima città, incredibile crocevia di vecchio e nuovo, di avvicendamenti politici e calamità naturali e dai luoghi dove ha viaggiato, specialmente dal 2004 al 2010, per realizzare numerosi documentari.
Impregna il suo lavoro di tradizioni e testimonianze narrative – anche quelle di sua nonna – sulle pratiche spirituali tramandate all’interno delle famiglie: un bagaglio culturale che, con lo studio della filosofia francese e del prediletto filosofo persiano Sohrawardi, diviene un affondo poetico e lungimirante anche sul nostro precario senso di appartenenza.