Una passeggiata fra i padiglioni
Visitare la 59a Biennale costringe a ricordare che la storia è ciclica e questa, purtroppo, è spesso una triste verità. I corsi e ricorsi storici, teorizzati alla fine del ‘600 da Giovan Battista Vico, appaiono in tutta l’agghiacciante realtà quando, passeggiando per i Giardini, ci si trova di fronte al padiglione chiuso della Russia, circondato da un freddo silenzio e i ricordi immediatamente tornano su chi era negli stessi luoghi alcuni anni prima e si trovava di fronte a padiglioni nazionali che, appartenendo a un blocco contrapposto, non partecipavano come protagonisti alla manifestazione. La guerra fredda aveva escluso tanti stati e, allora come ora, i muri non erano supporti all’arte ma grondavano solo di un unico colore: il rosso. Il padiglione ucraino, chiamato piazza Ucraina, progettato dall’architetta Dana Kosmina, si trova nello spazio Esedra, sempre ai Giardini, e vuole raffigurare una zona di guerra.
AFFASCINANTE IL PADIGLIONE DELLA COSTA D'AVORIO DOVE,
SI COMPRENDE L'IMPORTANZA DEL SOGNO PER RAGGIUNGERE UNA REALTÀ SPESSO SFUGGENTE
Ci si trova davanti a un monumento ricoperto totalmente da sacchi di sabbia per proteggere la vita dell’arte e quella dell’essere umano che ne è il pater: un abbraccio a tutti gli artisti che vivono oggi sotto i bombardamenti. Purtroppo seguendo l’onda del momento, ricordando tra le tante solo la guerra in Ucraina, il presidente della Biennale Roberto Cicutto ha invitato gli artisti di questa nazione martoriata ad inviare opere in modalità poster che verranno mostrate al pubblico: mi pare ahimè un voler banalmente esserci pure lui. Fascinoso è, fortunatamente, il viaggio nel quale si viene catapultati nel padiglione della Costa d’Avorio situato al Magazzino del Sale. “Nel mondo del sogno” è il tema trattato dal curatore Alessandro Romanini, docente di teoria della percezione e psicologia della forma, insieme a Massimo Scaringella, che tanto ha respirato di arte sudamericana. Dai loro lavori emerge quanto sia importante, attraverso il sogno, raggiungere alcune realtà della vita che spesso sfuggono. La cultura dei luoghi dove non si è ancora subissati da una certa modernità, permette questo privilegio, e qui si percepisce attraverso i racconti degli artisti, quanto l’arte ne sia un canale privilegiato.
ALLO SPAZIO ESEDRA IL PADIGLIONE UCRAINO
PROPONE UN MONUMENTO RICOPERTO DI SACCHI DI SABBIA
Vale la pena pure raggiungere l’isola di San Servolo per visitare il padiglione della Repubblica Araba Siriana. Ad accoglierci una installazione di Lorenzo Puglisi, che in maniera concettuale affronta violentemente il tema, purtroppo sempre più attuale, di una crocifissione imprigionata in una gabbia di ferro. L’opera Il viaggio al termine della notte è emozione scatenata attraverso il nero della superficie pittorica che grazie agli scontri dei bianchi intrisi di rosso diventa un violento grido contro l’attuale società sempre più homo homini lupus. Coerenti pure i lavori di Giuseppe Amadio che attraverso i suoi squarci accentuano l’attenzione sul dolore presente in questo periodo nei nostri animi. Anche la scelta pure di esporre nel padiglione di una nazione da tanti anni straziata è altro atto di coraggio voluto dall’artista. Arrivati alla fine dell’Arsenale, si trova il padiglione Italia. Il curatore Eugenio Viola presenta il lavoro di un unico artista. Per coinvolgere nella visita, permette l’ingresso a un massimo di 50 persone per volta: obbligatorio il silenzio per coerenza con l’atmosfera. Ed ecco Le Sette Stagioni dello Spirito di Gian Maria Tosatti, ambientate in una Napoli che, proponendo una fabbrica abbandonata, con grande tristezza vuole ricordarci - penso - il crollo del benessere economico, l’alienazione del lavoro e della vita.
UNA FABBRICA DISMESSA AL PADIGLIONE ITALIA DI TOSATTI EMANA UNA GRANDE TRISTEZZA
È un viaggio nel rifiuto al piacere di essere protagonista della macchina produttiva. Il tutto è intriso di riferimenti all’arte povera (chi non ricorda alcuni lavori con tante macchine Singer?), o forse è un inchino politico a una attualità in cui il reddito di cittadinanza insegna che il lavoro non deve inorgoglire l’uomo, tanto in cambio del voto si campa, e che importa se si uccide pure l’arte.
Stiamo correndo pericolosamente verso il Cuculo nel nido del potere politico e questa ne è una dimostrazione. Ai posteri.