L'Arte che unisce - a colloquio con Beral Madra

13 Febbraio 2023

Uno spaccato dell’arte contemporanea turca dell’ultimo trentennio

Immerso in “Mediterraneo per l’arte contemporanea”, la mostra/progetto inaugurata il 16 marzo 1989 a Bari negli spazi della Fiera del Levante nell’ambito della 14ma edizione di Expo Arte, alla ricerca delle radici comuni della creatività dei Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum, incontrai e conobbi Beral Madra. La critica turca era coordinatrice delle prime due edizioni della Biennale di Istanbul (1987, 1989), la manifestazione promossa dalla Istanbul foundation for culture and arts (İKSV), per creare un dialogo tra artisti di culture diverse. Beral era tra i nove selezionatori - ognuno per la propria nazione - degli artisti di Cipro, Francia, Grecia, Israele, Italia, Jugoslavia, Spagna e Turchia. Nel suo testo in catalogo, dopo aver precisato come la nuova arte turca fosse cominciata nel 1975 “dopo decenni di isolamento causato da una situazione politica ed economica turbolenta”, prendeva atto della non definita “posizione socio- economica e strategica della Turchia tra l’Oriente e l’Occidente”, cercando negli artisti la sintesi/confronto tra contemporaneità e tradizione. L’avrei rivista a Venezia alla fine di maggio dell’anno successivo, per la vernice della 44ma edizione della Biennale - Giovanni Carandente Direttore del Settore arti visive - quale curatrice del Padiglione turco: un felice e atteso ritorno dopo ventotto anni di assenza. Ancora una volta, si dimostrava attenta alla complessa realtà del suo Paese, “nazione mediterranea, occidentale e orientale al tempo stesso”, e impegnata a proporre artisti dediti a visualizzare il difficile rapporto tra attualità e consuetudine. Appena tre anni dopo, eccola nuovamente nella città lagunare, sempre nel ruolo di curatrice del Padiglione turco e più che mai interessata al dialogo interculturale e al concetto di “differenza”, essendo l’artista occidentale “nomade volontario” e l’artista turco “nomade più riluttante che cerca una patria”. Incontro replicato nel giugno 1997, presso l’Istituto Zenobio, in occasione della 47ma Biennale, per “Modernities and Memories”. La rassegna era sostenuta da The Rockefeller Foundation (dieci curatori, tra cui Beral con riflessioni  sullo scambio tra le due culture, sul concetto di disuguaglianza, sul controllo dell’informazione nel mondo occidentale e sul possibile cambiamento). Suo scopo: “realizzare una comunicazione interculturale congiunta tra i paesi islamici ed esprimere il pluralismo attraverso opere d’arte contemporanea”. L’evento verrà riproposto, poi, nell’ottobre dell’anno successivo presso la Istanbul Bilgi University. In una sorta di feeling infinito con la Biennale di Venezia, rieccola curatrice del Padiglione turco per tre edizioni consecutive a partire dal 2001 e quindi del Padiglione dell’Asia Centrale nel 2009 e dell’Azerbaijan nel 2011. Nel frattempo, è stata anche curatrice della Biennale di Çannakkale (2012 e 2014) e di quella di Bucarest (2018) nonché di moltissime altre mostre nel mondo, tra cui “Crazyspace” (2003), “Captivated by Bakhchisaray” (2008), “Next Wave” (2009), “A Conceptual Heritage” (2011), “Ottomans and Europeans: Pasts and Prospectives” (2016), “Atmosphere 41” (2017). È anche docente e autrice di diversi volumi: “Identity of Contemporary Art”, 1987, “Post-periferico Flux: A Decade of Contemporary Art in Istanbul”, 1996, “İki Yılda Bir Sanat”, 2003, “Neighbours in Dialogue”, 2005. Ha collaborato anche con artisti come Joseph Kosuth, Markus Lüpertz, Sol LeWitt, François Morellet, Joseph Beuys, Michelangelo Pistoletto. Il suo ritorno in Biennale nel 2017, da commissaria del Padiglione turco, mi spinge a porre all’amica Beral, alcune domande. 

I GIOVANI SI OCCUPANO DEL SOCIALE CON UNA FORTE CRITICA A VOLTE PRATICANDO UN UMORISMO NERO

L’11 settembre si è aperta la 17ma Biennale di Istanbul. Che cosa è cambiato dalle prime edizioni del 1987 e 1989 che ti videro coordinatrice?
La Biennale di Istanbul è un sottoprodotto degli ultimi 35 anni di storia socio-politica-economica e culturale della Turchia. Per capire i cambiamenti bisogna tener conto di questi elementi. Dopo il sanguinoso colpo di stato del 1980, nel 1985 la Turchia è entrata nel sistema di un’economia liberale globale, ma non nella relativa democrazia. La Biennale, sostenuta dal florido settore privato, è stata una sorta di imbiancatura sull’inquinamento politico esistente. Il capitalismo liberale fiorì e il settore privato abbracciò l’arte  contemporanea come strumento di visibilità internazionale, che a sua volta aiutò gli artisti a ottenere nuove opportunità grazie a gallerie e mostre internazionali. Negli ultimi 20 anni, durante il governo dell’AKP, la Biennale di Istanbul è sotto una camuffata sorveglianza dell’autoritarismo statale; da qui si deduce che è necessario evitare l’esposizione di opere fortemente dissidenti.

Che ricordo hai di “Mediterraneo”, la mostra/progetto per nazioni, tenutasi a Bari nel 1989?
La mostra di Bari è stata fondamentale per l’ingresso dell’arte contemporanea turca nel panorama artistico dell’UE. La mostra prevedeva 8 organizzatori di altrettanti paesi mediterranei. Il risultato è consistito nell’importanza del ruolo teorico e pratico del carattere mediterraneo dell’arte di oggi. La rassegna rifletteva una sorprendente unità, simultaneità e identità, sebbene in precedenza non  ci fosse stata alcuna comunicazione tra gli espositori e gli artisti. Questo evento ha aperto la strada per l’accesso del Padiglione turco alla Biennale di Venezia e ha permesso la mia ammissione quale curatore internazionale.

Che cosa ha significato per te il ruolo di curatrice del Padiglione turco alla Biennale di Venezia del 1990 , incarico replicato in altre quattro successive edizioni.
Nel 1990 è stato Giovanni Carandente a nominarmi commissario del Padiglione della Turchia. Nel corso degli anni sono riuscita a convincere lo Stato e i settori privati dell’importanza della nostra partecipazione alla Biennale, ottenendo ogni volta un sostegno finanziario superiore. Volutamente, invitavo due o più artisti per dare loro visibilità internazionale. Da questa esperienza ho ricevuto diversi altri inviti per la curatela di altre esposizioni all’estero. Ho sempre continuato a impegnarmi stimolando dibattiti sociali, politici, culturali e critici. 

LA BIENNALE DI INSTANBUL È UN SOTTOPRODOTTO DEGLI ULTIMI 35 ANNI DI STORIA
SOCIO-POLITICA-ECONOMICA E CULTURALE DELLA TURCHIA

Parliamo delle tue curatele alle varie edizioni della Biennale di Venezia.
“Modernities and Memories” è stato probabilmente il primo ampio progetto a rappresentare i Paesi islamici alla 47a Biennale di Venezia. È stato ideato e sostenuto dalla Rockefeller Foundation con l’obiettivo di realizzare una comunicazione interculturale congiunta di 13 paesi islamici per esprimere il pluralismo culturale attraverso opere d’arte contemporanea. Gli artisti sono stati selezionati in base alle loro idee che a loro volta riflettono gli ambienti socio-politico- culturali e gli sviluppi dei paesi da cui provengono. Il loro competente ricorso alla tradizione e al modernismo ha aperto nuove prospettive e modalità di percezione. La loro abilità consiste nel coniugare il loro background all’arte universale. Da questa iniziativa è scaturito successivamente l’invito a curare il Padiglione dell’Asia Centrale e il Padiglione dell’ Azerbaijan. 

Quale il ruolo della Fondazione Istanbul per la Cultura e le Arti (IKSV)?
È stata fondata con il contributo di importanti società e privati per sostenere e promuovere l'arte e la cultura contemporanea in Turchia. Nel corso degli anni, è riuscita a far ricevere agli artisti locali riconoscimenti internazionali. Alcuni sono diventati famosi. In una città di 16 milioni di abitanti la biennale può arrivare a mezzo milione di visitatori; non c'è una sede permanente, molte sono dislocate in altri luoghi cittadini. L’evento è concepito per il grande pubblico ma per ora riesce ad attrarre solo le élite. Considerato che dopo le proteste nel parco di Gezi l’oppressione politica si è notevolmente incrementata, la fondazione e i curatori sono stati molto cauti nella selezione degli artisti e delle opere.

LA FONDAZIONE INSTANBUL PER LA CULTURA E LE ARTI CONCEPISCE EVENTI
PER IL GRANDE PUBBLICO MA PER ORA ATTRAE SOLO LE ÉLITE

Descrivici i tuoi spazi espositivi.
Fondai nel 1981 BM Gallery una piccola galleria, poi trasformata in BM Contemporary Art Center nel 1989. Una società senza scopo di lucro che riusciva a ottenere fondi e sostegno da molte partnership. Nel 2012 chiusi lo spazio (era a Nişantaş) e mi trasferii in altri quartieri, prima a Karaköy, poi a Beşiktaş fino al 2016. In 40 anni di attività ho realizzato 200 mostre con oltre 500 artisti locali e internazionali. Attualmente è un archivio con una biblioteca rivolta al lavoro accademico e aperta a collaborazioni con artisti, istituzioni, governi, ONG private e pubbliche sia locali che straniere.

Com’è ora la situazione dell’arte contemporanea in Turchia? 
I giovani rispecchiano le loro storie personali in un’arte che va dal fotorealismo a quella digitale, dagli stili neoclassici e neoespressionisti alle installazioni multimediali. Dipingono paesaggi urbani, si occupano del sociale con una forte critica, a volte praticando un umorismo nero. La condizione per poter lavorare con le gallerie in Turchia è la pittura. I dipinti sono gli unici che possono essere venduti da noi. Le videoinstallazioni, invece, si distinguono come opere facilmente documentabili e trasportabili e si rivolgono
a un pubblico più ampio. La recente pandemia, la crisi economica, l’elevata inflazione hanno prodotto una realtà molto dura per artisti e critici. Tutto ciò comporta che le giovani generazioni non hanno la possibilità di viaggiare per studio o per professione.

L'Autore

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Dai primissimi anni ’60 lo trovi a raccontare l’arte (molto spesso anche i suoi - dell'arte - tanti rapporti con l’esercitata scienza) e a colloquiare con gli artisti. Lecce, Bologna e Urbino i luoghi della formazione. Roma, Torino e Napoli quelli del fare. Libero e creativo, ha perso il conto dei buchi su una tela, ha rotto un bicchiere napoleon liberando la mosca prigioniera, ha vissuto il ’68 e dialogato sul concetto, ha pieno di parole un Calendario senza fine, ha dato alle fiamme cavalli di cartapesta su una pira, e… Trentacinque anni fa rammentando Minotaure ha inventato “ARTE&CRONACA”.

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