Olafur Eliasson al Guggenheim: come in un’aurora boreale

2 Marzo 2021

Una mostra di atmosfera fra banchi di nebbia, cascate artificiali, pareti di lichene

Il visitatore diventa protagonista della retrospettiva ed è invitato a esplorare i limiti della percezione

Una leggenda islandese narra che Sleipnir, il palafreno di Odino, abbia dato origine con uno dei suoi 8 zoccoli al Rifugio degli Dei, un canyon a forma di ferro di cavallo, situato a nord. Immergiamoci per alcuni minuti in una terra magica, abitata da elfi, vulcani, ghiacciai e una manciata di persone, per introdurci nell’atmosfera della mostra di Olafur Eliasson al Guggenheim di Bilbao. La sfida di “In real life”, curata da Lucía Aguirre, è riconfigurare le nostre strutture mentali attraverso banchi di nebbia (Your atmospheric colour atlas, 2009) e cascate artificiali (serie Waterfall), specchi virtuali (Your imaginary future, 2020) e pareti di lichene da annusare e accarezzare (Moss Wall, 1994).

Il visitatore è il protagonista indiscusso di questa retrospettiva che, tramite una trentina di opere fra installazioni, sculture, fotografie e dipinti, dal 14 febbraio al 21 giugno esplora i limiti della percezione. La sala 209 è una prova spaesante, tra specchi e giochi geometrici, in cui fa da regina la spirale: figura cara all’artista, la spira mirabilis che il matematico Bernoulli (1700-1782) fece incidere sul suo epitaffio: “Eadem mutata resurgo” (Sebbene diversa, rinasco ugualmente). Olafur crea e distrugge: una scultura in bronzo (The presence of absence pavillion, 2019) rappresenta il vuoto tangibile lasciato dai blocchi di ghiaccio prelevati dalla Groenlandia e trasportati a Copenaghen e a Parigi, ormai disciolti. In “The glacier melt series 1999/2019” una sequenza di scatti di ghiacciai risalenti al 1999 viene contrapposta agli stessi scatti a distanza di vent’anni: il risultato è sconvolgente.  

Lo studio Other Spaces da lui fondato a Berlino è un crocevia di artisti, architetti, cuochi e tecnici

L’esperienza diretta, a cui la crescente digitalizzazione della società ci disabitua, agisce in modo altrettanto diretto passando attraverso i sensi, per giungere alla consapevolezza ed è proprio questo il fine ultimo. La sua preoccupazione per le sorti che l’uomo sta assegnando alla natura agisce come un’onda che, invece di infrangersi sterilmente sulle pareti del museo, si riversa nell’attivismo: “Ambasciatore di Buona Volontà per le azioni urgenti sul clima e gli obiettivi di sviluppo sostenibile” è il riconoscimento conferitogli dalle Nazioni Unite nel 2019. Lo Studio Other Spaces, da lui fondato a Berlino, è un crocevia di artisti, architetti, artigiani, cuochi e tecnici che collaborano a progetti su temi di assoluta urgenza, dalle energie rinnovabili alle migrazioni. La voce multiforme di Björk, musicista con cui ha in comune le origini e l’impegno sociale, sembra essere la colonna sonora perfetta per entrare in contatto con l’intimità di questo viaggio, che si rivela inaspettato e travolgente come un’aurora boreale. 

L'Autore

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Giornalista pubblicista e assistente di redazione. Dagli studi linguistici rimbalza a quelli di ingegneria e approda nel digital marketing, attraverso un processo di liberazione cinetica. Performer in una galleria di Pietrasanta, conosce nel 2019 il direttore di AW ArtMag a cui si lega professionalmente, unendo la sindrome di Stendhal per Boltanski all’esaltazione per l’editing. In ufficio, è tête-à-tête col pc. A casa, guarda dalla finestra, pensa, scrive e progetta il prossimo reportage.

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