Intelligenza Artificiale, che fare? Il Garante della privacy vieta il software ChatGPT

Negli ultimi tempi si parla molto di intelligenza artificiale, soprattutto da quando il nostro paese ha messo al bando la celebre piattaforma ChatGPT. In Italia, purtroppo, si tende talvolta ad estremizzare e stravolgere il concetto di tutela degli individui: è proprio quello che sta accadendo per quanto riguarda la regolamentazione della privacy e l'accesso ad alcune tecnologie inerenti all'analisi dei dati. Soffermiamoci appunto sul caso del software ad intelligenza artificiale chiamato ChatGPT prodotto da OpenAI, il cui utilizzo è stato vietato in Italia dal Garante per la privacy. ChatGPT, per chi non la conosce, è una piattaforma online di interrogazione testuale, dove in sostanza l'utente chiede all'algoritmo di fare delle cose o gli fa delle domande, e l'algoritmo risponde; è la cosa più vicina oggi ad un essere senziente al servizio dell'utente e viene utilizzato in una varietà infinita di contesti differenti, dal copywriting alla programmazione, dalla poesia al web design ecc. Ebbene, il Garante in Italia ha rilevato che in questa piattaforma vengono utilizzate delle metodologie di trattamento ed approvvigionamento dei dati non consone alle linee guida attuate e promosse nel nostro paese, tutto questo allo scopo di tutelare gli utenti e la loro privacy. L’incidente porta  ad interrogarci su cosa veramente sia l’ “interesse degli utenti, i quali già ogni giorno sono abituati ad adottare enormi compromessi in merito alla propria privacy in cambio dell'utilizzo di potenti strumenti tecnologici che ci aiutano e ci assistono negli aspetti pratici della nostra vita, dalla movimentazione al consumo calorico, dalla comunicazione all'intrattenimento. Risulta dunque difficile schierarsi completamente a favore di una visione rigida e ortodossa della
pur sacrosanta tutela della privacy quando ci toglie la possibilità e la scelta individuale di avere accesso ad una tecnologia ad altissimo impatto di utilità per moltissimi utenti.
Non dimentichiamoci che questo tipo di algoritmi sono recentemente divenuti estremamente celebri proprio per l’utilizzo che ne viene fatto nell’ambito della produzione artistica, in particolare nel settore dell’arte digitale, con piattaforme AI (Artificial Intelligence) che permettono all’utente di generare composizioni visive artistiche inserendo delle specifiche stringhe di testo descrittive (chiamate in questo caso Prompt).

La diffusione di questo tipo di piattaforme (es. Midjourney, Dall-E, Stable Diffusion) è stato un evento tanto potente da generare una vera e propria schiera di artisti, un nuovo modo di approcciarsi al mondo dell'arte e della creatività: l'utente ci mette l'idea, l'algoritmo la realizza; niente di nuovo sul fronte dell'arte, in fin dei conti molti grandi artisti da sempre si sono affidati ad altri tipi di manovalanza per realizzare le proprie opere. Quello che c'è di nuovo è invece il fatto che queste piattaforme, per produrre le  creatività accattivanti, sfruttano tutte le immagini che trovano in giro per il web, la qual cosa genera una problematica riguardo al tema del diritto d'autore.
Più in generale potremmo dire che la problematica del diritto d'immagine, o d'autore che dir si voglia, diviene oggi una questione centrale per quanto riguarda la discussione sull'arte e la creatività, rileviamo che l'Italia in tal senso si sta schierando con posizioni piuttosto restrittive che la rendono un caso abbastanza isolato sul panorama internazionale.

La tecnologia, come il pennello, è soltanto uno strumento e il suo buon o cattivo utilizzo dipende dal soggetto che lo adopera, stigmatizziamo dunque l’intervento del celeberrimo Elon Musk che auspica un’interruzione nello sviluppo dei software ad intelligenza artificiale.

L'Autore

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Dall'ingegneria all'arte passando per la digital strategy.
Gallerista dal 2005, capo dipartimento NFT per Pandolfini Casa d'Aste dal 2022.
Head of Digital per AW ArtMag dal 2021.

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