L'arte nei tempi bui

Un talento fuori dal comune, manifestatosi nonostante le restrizioni dovute alla politica repressiva sovietica.

“Bisogna saper esprimere le passioni, vedere, amare e venerare”


Sottoposto a feroci critiche dal regime, non potrà più lavorare come regista. La creazione di collage e assemblaggi diviene l’unica via per esprimere liberamente la sua creatività

L’arte non conosce o, almeno, non dovrebbe conoscere confini e lo dimostra l’annuale “Festival Printemps des Arts” di Montecarlo, che nella programmazione musicale all’avanguardia e con interpreti a livello mondiale, quest’anno, sotto la guida del nuovo direttore artistico Bruno Mantovani, ha incluso l’Armenia in tutte le declinazioni. Le pagine dedicate alla piccola repubblica caucasica, ricca di storia e di talenti, comprendono, oltre alla musica classica e tradizionale, la produzione artistica di uno dei suoi grandi figli, il regista Sergej Parajanov (1924-1990). In omaggio a questa personalità complessa e geniale, stimata da personaggi come Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Jean-Luc Godard, Akira Kurosawa, Andrej Tarkovskij, il 26 marzo sarà proiettato il film “Il colore del melograno”. Nella hall dell’Opéra Garnier di Montecarlo è allestita una piccola ma significativa mostra, visibile fino al 3 aprile. Sergej Parajanov nasce a Tbilisi in una famiglia armena. Fra i tanti talenti possiede quello artistico e i suoi lavori svelano altri aspetti di una personalità molteplice e contraddittoria, estranea ai compromessi. Le opere esposte a Montecarlo provengono dal Museo di Erevan a lui dedicato che, oltre a documenti, lettere e libri, presenta una ricca collezione dove, con arredi e oggetti originali, rivivono le stanze piene di atmosfera della sua casa di Tbilisi. Il “Festival Printemps des Arts” permette, dunque, di tornare su una figura leggendaria e tormentata, che lascia un segno profondo nella cinematografia e nell’arte. Sabato 26 marzo, all’inaugurazione ufficiale dell’esposizione, in rappresentanza del museo sarà presente Anahit Mikayelyan. “Non sono un artista di professione, non pretendo di esserlo e proibisco ai critici d’arte di considerarmi tale. Sono un regista: ho studiato con grandi maestri, Savcenko e Dovzenko, entrambi disegnavano, anche Ezenstejn disegnava e, volente o nolente, ho cominciato a farlo pure io, a realizzare collage, a cercare una qualche forma plastica. Nel mio studio si svolge il processo di creazione dei film. In totale sono stato insignito di 60 medaglie d’oro. Per che cosa? Per il mio gusto, per il fatto di riuscire a esprimere la plasticità. Ora è venuto il tempo di cercare, trovare e realizzare il bello, quanto c’è di bello intorno a noi – le nostre montagne, il cielo. Bisogna saper esprimere le passioni, vedere, amare e venerare. Non basta amare! Bisogna venerare. Non avviene nessun miracolo. Io cerco che cosa è insito nella natura, è lei ad aiutarmi a cogliere, a fissare, a creare la plasticità, a realizzare le commissioni dei detenuti. Disegnavo i ritratti dei loro eletti per le persone amate che, in libertà, li attendevano, creavo dei collage. Al mio defunto vicino di tavolaccio ho preparato un sudario di tela di sacco, con dei soggetti biblici”. Ecco come il regista esprime la sua concezione artistica: un talento fuori dal comune, manifestatosi nonostante le restrizioni dovute alla politica repressiva sovietica.  Qui, parlando di compagni di detenzione, egli ci parla della propria vicenda: ingiustamente accusato di pederastia per mettere a tacere le sue forti critiche al regime, sarà rinchiuso in carcere dal 1973 al 1977, uscendone un anno prima del termine della pena, probabilmente grazie all’intervento dello scrittore francese Louis Aragon, la cui moglie Elsa Triolet era la sorella di Lilja Brik, musa e grande amore di Vladimir Majakovskj. I primi collage di Parajanov nascono durante la lavorazione dei film, trasformando in maniera tridimensionale le scene da lui disegnate. Sono opere d’arte originali, in uno spirito solo all’apparenza naif, pieno di vitalità, riflettono la forte, unica personalità del loro creatore, la sua visione surrealista espressa nel cinema, che anche per questo è censurato. I materiali per tali lavori si trovavano in abbondanza nella sua casa, in cui egli accumula, in una sorta d’installazioni d’arte, oggetti apparentemente inutili, poi utilizzati per creare mosaici e collage. Ama anche i tessuti preziosi e, con spirito e gusto orientali, i tappeti. Nel 1972, nonostante il successo mondiale di film come “Le ombre degli avi dimenticati” (1964), premiato 28 volte in 21 paesi, e dopo l’uscita de “Il colore del melograno” , ispirato alla vita del poeta armeno Sayat-Novat,  sottoposto a feroci  critiche dal regime per la novità della rappresentazione, basata soprattutto sulla ricchezza e l’originalità visiva e coloristica, egli non potrà più lavorare come regista. Così, accanto alle sceneggiature, la creazione di collage e assemblaggi diviene per Parajanov l’unica via per esprimere liberamente la propria creatività, per montare invece di un film, la sua realtà. Nel primo periodo artistico, precedente alla detenzione, a partire degli anni ‘60, i lavori sono schizzi come quelli per lo spettacolo “Amleto”, mai realizzato, una serie su ceramica, dedicata al cinema di Pasolini, collage di tipo tradizionale, il “Ritratto di Fayum del 1972, una miniatura il cui viso è fatto di minuscole conterie, e una Madonna, ispirata all’icona di Kazan. Per realizzarla il regista utilizza pezzi di legno deformati di una vecchia porta, bottoni per gli occhi, frammenti di ceramica di un servizio da tè a formare l’aureola. Nella cornice, al posto dei metalli preziosi, usa gusci di noce. Dal 1973 al 1977, Parajanov, costretto a lavorare in cella, per disegnare utilizza la matita o la penna a sfera e si serve di tutto quanto può trovare in una simile situazione, pezzi di carta e di stagnola, fil di ferro, foglie e fiori che raccoglie nel cortile durante l’ora d’aria, per poi farli seccare. Con i tappi delle bottiglie di latte o forse di kefir realizza la serie dei Talleri, su uno dei quali con un chiodo incide il ritratto di Puskin. Da un universo carcerario fatto di sporcizia, di pidocchi, di umiliazioni, egli riucirà a estrarre la bellezza, come un materiale prezioso. I soggetti della sua arte sono spesso drammatici, legati a vicende personali: la serie dedicata al processo, in cui egli allegoricamente si rappresenta come un pesce finito nella rete, quella dal titolo Elenco dei beni confiscati, riflesso del dramma dell’arresto, della perquisizione del suo appartamento a Kiev, quando quasi tutto quanto gli appartiene sarà buttato fuori dalla finestra. Molti sono i ritratti dei compagni di prigionia. Risale al periodo di detenzione anche il dono inviato per l’8 marzo all’allora ultraottantenne Lilja Brik, un bouquet realizzato con filo spinato e con i suoi calzini. Particolarmente poetici sono due ritratti, il suo e quello dell’ex moglie Svetlana Scerbatjuk, cui rimarrà sempre legato, malgrado il divorzio. Ispirandosi alla pittura antica, rappresenta la donna “in stile impero”, intenta a dipingere, mentre il suo autoritratto è in “stile gotico”, realizzato con brandelli di stoffa, fiori secchi, con in alto la farfalla, simbolo di rinascita, spesso utilizzato nei lavori carcerari e il levriero accucciato accanto a lui: solo il viso è disegnato, tutto il resto si rivela un sapiente collage. Il terzo periodo, non più sottoposto a restrizioni, è forse il più creativo per Parajanov: nasceranno così molti disegni, lavori realizzati con pezzi e perle di vetro, frammenti di ceramica, conchiglie, pizzi, fili, piume, bambole di pezza e, soprattutto, svariati collage. Ormai da anni lontano dal cinema, Parajanov concentra in queste opere tutta la propria inestinguibile energia creativa. Fra i molti ritratti realizzati c’è il Triplo ritratto in cui si rappresenta assieme a Maya Plisetskaja e a Vladimir Vysotskij, la celebre danzatrice e il poeta cantautore, che tanto lo ammirano e gli sono vicini. Nella piccola, intensa mostra da camera, allestita in interessante contrasto nella hall dell’Opéra Garnier di Montecarlo, dopo l’inaugurazione della mostra, risuoneranno in concerto le musiche dei compositori armeni Komitas e  Gurdjieff,  eseguite dall’Ensemble Gurdjieff  con la direzione artistica di Levon Eskenian. Saranno presenti alcune fra le più  significative creazioni di Parajanov, per immergere il pubblico nel mondo fantastico, geniale e poetico di un artista a tutto tondo. L’incontro con lui, con questo aspetto della sua creatività, che per molti sarà probabilmente un’autentica scoperta, non potrà che arricchire e far riflettere sull’importanza imprescindibile dell’arte nei tempi bui.

 

Sergej Parajanov

Montecarlo

Festival Printemps des Arts

A cura di Bruno Mantovani

26/03-03/04

printempsdesarts.mc

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