Cartoline da Beirut

Un progetto per trasformare un momento di crisi in uno stimolo creativo che riporta alle basi la pratica artistica

Ciao, paesano! Scusa un momento, stavo lavorando in giardino perché non abbiamo più elettricità.

La voce calda di Tarek Mourad, al telefono con me e l’artista bresciano Alessandro Rizzi, risponde in un italiano pulito, pressoché perfetto, salvo poi passare all’inglese. Cambia la lingua, ma non il tono della conversazione, che lascia intravedere un carattere deciso, ottimista, nonostante la tempesta perfetta che da tempo affligge il Libano e la sua capitale, Beirut. Qui Tarek nel 2015 ha aperto il Beirut Printmaking Studio, uno spazio inclusivo per artisti di ogni estrazione, con un’attenzione particolare per quelli alle prime armi, così modo da dare, anche grazie a borse di studio, opportunità sempre più difficili da trovare.

Sono tornato a Beirut dal Brasile nel 2014. Sai perché?

Per la vivacità della scena artistica libanese?

Anche, ma soprattutto per il formaggio. Nei supermercati si potevano trovare formaggi italiani e francesi, così non ho potuto resistere. Ora non si trova più nulla di tutto ciò. E nemmeno farmaci: prima sono andato in farmacia per mia moglie, ma non c’era la medicina che stavo cercando. Né l’insulina. Né il paracetamolo. È difficile anche trovare la benzina o il diesel per far partire i generatori elettrici. Ma io rimango ottimista.

Il calore, la vivacità, la determinazione che traspare nella conversazione di Tarek fanno capire che il suo non è un ottimismo di facciata, né il tic del classico artsy abituato a frequentare gallerie patinate e i vernissage per gente che conosce gente. C’è qualcosa di dolce nel suo modo di passare disinvoltamente da una lingua all’altra, che crea una simpatia istintiva e non lascia spazio a dubbi. Come si è arrivati a questo punto, Tarek?

È un percorso lungo. Fino al 2016 la situazione in Libano era tranquilla, con una scena artistica molto vivace, mostre e musei di altissima qualità. Nel 2017 l’economia ha cominciato a rallentare e, poco prima di ritrovarci i conti bancari bloccati, abbiamo scoperto che il nostro bilancio era basato su uno schema di Ponzi. Il paese così è entrato in una crisi economica profonda, l’inflazione è salita alle stelle. L’esplosione al porto e la pandemia globale non hanno certo migliorato la situazione, anche considerando che naturalmente la crisi è diventata politica ed è un anno ormai che non si riesce a eleggere un primo ministro.

E per quanto riguarda la scena artistica?

È presto detto. Nella via del mio studio c’erano circa quindici gallerie di altissima qualità. Stanno chiudendo tutte. Lavorare diventa sempre più difficile perché, oltre ai problemi già citati, diventa quasi impossibile reperire i materiali per produrre opere. Per uno studio come il mio, che ha come scopo principale quello di insegnare e offrire occasioni ad artisti alle prime armi e non, è un problema enorme. Lasciami dire una cosa: Everything helps. Non è una formula retorica. È vero. Per questo ho aderito subito al progetto proposto da Alessandro.

Conosco Alessandro Rizzi da molto tempo. Non è raro che sul mio cellulare compaiano di punto in bianco canzoni di Ammar El Sherei, Shadia, e infiniti altri musicisti e cantanti nordafricani. Quando una sera mi ha parlato del progetto Postcards from Beirut, sapendo bene quanto un lungo periodo di soggiorno in Libano abbia contribuito alla sua crescita umana e artistica, non ne sono rimasto stupito. Alessandro, cos’è stata per te Beirut?

In un primo momento disorientamento, perché l’impatto è molto forte. La città è un groviglio di strade, persone e caos a cui non ero abituato. Quando ho trovato la chiave e persone che me l’hanno fatta conoscere, il caos si è fatto vivacità, fervore, mix di culture diverse che hanno reso l’esperienza interessantissima da vivere.

Che realtà hai trovato dal punto di vista artistico?

Per un primo periodo ho cercato più che altro di orientarmi in città, attraverso l’università, le gallerie e le associazioni per la valorizzazione del patrimonio artistico e architettonico di Beirut, in modo da non essere solo un turista. Una sera ho conosciuto e mi sono subito legato da forte amicizia con le altre persone coinvolte nel progetto: Dimitri Haddad, Hassan Lavassanny, Tarek Mourad e Elio Chaghouri.

In cosa consiste il progetto Postcards from Beirut?

Dopo l’esplosione al porto del 4 agosto 2020 c’è stato un lungo periodo in cui ho provato a contattare i miei amici senza riuscirci. Anche dopo, per tutte le difficoltà sopracitate, comunicare è stata un’impresa. Il tema delle cartoline è nato spontaneamente per cercare il modo più facile ed efficace possibile per colmare una distanza che il malfunzionamento delle nuove tecnologie pareva rendere ancora più grande.

La semplicità si è imposta da sé: diverse di queste persone avevano perso la casa, i dati, le opere, gli strumenti di lavoro. Avevo bisogno di un mezzo immediato ed efficace che consentisse loro di tornare nelle condizioni di poter produrre opere pur in assenza di mezzi, di comunicare con un semplice colpo d’occhio l’urgenza della situazione, e di esprimere la mia gratitudine per una scena artistica che mi ha accolto e dato moltissimo.

Che cosa rappresentano le cartoline?

Elio ha fotografato una sua opera, ripresa, rivoltata, riutilizzata. Hassan ha stampato su cartolina uno dei suoi studi, con il messaggio che non serve granché per fare la differenza (Pas besoin de grand chose pour faire quelche chose de grand). Tarek ha stampato due fotografie con la veduta della costa di Beirut e la scritta Postcards from better days. Dimitri mi ha dato semplicemente una delle uniche due fotografie che gli erano rimaste: una veduta di Aleppo risalente al 2018. Ognuna di queste cartoline, nella sua semplicità, rispecchia sia il momento di grande difficoltà che queste persone stanno vivendo, sia la dignità e la capacità dell’arte di trasformare un momento di crisi in uno stimolo creativo che riporta alle basi la pratica artistica.

Come si può fare per supportare il progetto?

Sono state stampate quaranta cartoline per artista, per un totale di centosessanta. Il contributo minimo è di 10 Euro, ma naturalmente se qualcuno vuole offrire di più è beneaccetto. Chiunque fosse interessato può scrivere all’indirizzo email postcardsfrombeirut.project@gmail.com

I fondi a cosa saranno destinati?

Sia per assicurare il loro sostentamento e dare loro l’opportunità di continuare a svolgere la loro attività artistica, sia alo studio gestito da Tarek, il Beirut Printmaking Studio, uno spazio inclusivo e aperto a chiunque nel suo percorso di vita voglia dedicarsi all’arte (http://www.beirutprintmakingstudio.com/).

 

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After deciding, at the age of seven, to become a writer, he spent the next thirty years participating in various editorial activities - as an essayist, translator, critic - but always avoiding that goal he set for himself when he was a child. In the meanwhile, he cultivates his graphomania and collaborates with the IULM University of Milan holding courses in Philosophy of art and Aesthetics. When he is not on the couch with a book in his hand, he is on the road. Indeed he is travelling also when he is on the couch with a book in his hand. Or when he visits an exhibition, or watches a movie. His mind is never present but always wandering.

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