Francesco De Gregori, 70 anni di poesia

La poesia contemporanea vive una stagione complessa. Nelle sue varie forme di lettura trova scarso spazio sui giornali, il suo registro critico è limitato e deve necessariamente approdare alla poesia popolare e, successivamente, a quella musicata per trovare ascolto. E così i cantautori sono diventati fatalmente i poeti della modernità, quelli che attraverso il pentagramma hanno saputo costruire favole, riflessioni, contaminazioni, inganni con il marchio del pop, inaugurando anche quella poesia raffinata e plebea, fino ad allora sconosciuta. Sono i grandi menestrelli dei tempi moderni, quelli che con le loro rime ci hanno accompagnato dal ‘900 a oggi, segnando con le loro parole la nostra vita di tutti i giorni, scrivendo una musica che somigliava all’arte.

Quelli che ci hanno lasciato, incantatori di melodie come Pino Daniele, Lucio Battisti, Lucio Dalla, Giorgio Gaber, Fabrizio De André e Bruno Lauzi. Quelli che continuano a dispensare sogni, Gino Paoli, Zucchero, Vasco Rossi, Francesco Guccini, Antonello Venditti, Riccardo Cocciante, oltre a tanti straordinari artisti nazionali che hanno fatto delle loro note una bandiera. Tra questi, ecco emergere, tra le feste di Pasqua, lo stigma di Francesco De Gregori che tocca la sponda dei 70 anni in un piccolo profluvio di celebrazioni. Il suo album musicale resta oggettivamente qualcosa di mitico. Sfogliamo insieme le sue pagine, recuperando qualche verso. Parole, in qualche modo, scolpite nella nostra storia.

Strofe come “Tutta sola verso un cielo nero nero s’incamminò……, Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore. Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore….., Qui l’ Italia metà giardino e metà galera” appartengono, ormai, alla nostra vita. Chissà quanti hanno sospirato dietro questi testi, chissà quanti hanno costruito, magari sotto la doccia, il mito del Principe. Riconoscendo il suo estro magistrale, la totale libertà della sua creazione, il talento indisciplinato delle sue note. Trascinandoci nei territori della sua fantasia, come un incantatore di serpenti al quale, spesso, abbiamo affidato il cuore.

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Custodisce mille interessi. Giornalista, saggista, medico chirurgo plurispecialista, ma soprattutto napoletano, il mestiere forse più difficile e complesso. Ama la vivacità culturale, le tesi in penombra, la scrittura raffinata e ribelle. Ma ama anche la genialità del calcio e la creatività dell’arte. Crea le sue rubriche settimanali su alcuni quotidiani nazionali muovendosi sul pentagramma del costume, dei new-media, della cronaca. È stato più volte senatore e parlamentare della Repubblica perché era affascinato da quella battaglia delle idee che oggi sembra, apparentemente, scolorirsi.

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