In esposizione, opere degli anni ‘60 e ‘70 mettono in dialogo le indagini di matrice programmata e cinetica con i lavori di ispirazione ecologica.
La nuova personale di Armando Marrocco alla Galleria Luce omaggia già nel titolo lo spazialismo veneziano: “Armando Marrocco. Convergenze spaziali. Venezia, Milano e oltre”. L’idea dei curatori Michela Luce e Toti Carpentieri è quella di evidenziare corrispondenze e analogie finora poco esplorate.
NELLA SERIE CITTÀ 1, TROVIAMO IL CONFRONTO CON L'ARCHITETTURA, GLI STIMOLI OPTICAL E LE CROMIE POP
Quando, nel 1962, l’artista si stabilì a Milano, era un ragazzo di ventitré anni e fu subito attratto dalle intuizioni sullo spazio di Lucio Fontana con quella costante tensione a saldare gesto artistico e gesto scientifico. Parallelamente, avviò una sperimentazione centrata sulla luce e sul segno, avvicinabile alla declinazione lagunare dello spazialismo.
Attraverso una ventina di opere realizzate tra metà anni ‘60 e inizio anni’70, la rassegna pone in dialogo le indagini di matrice programmata e cinetica con i lavori di ispirazione ecologica, antropologica e sociale con i quali Marrocco reinterpretava la nuova relazione tra l’uomo, il tempo e lo spazio.
Alle origini c’è la memoria delle radici salentine e la riattivazione del gioco popolare del palèo: l’artista sostituisce alla punta metallica di una trottola una punta inchiostrata e con questa traccia sulla carta suggestivi arabeschi. Celebre una sua performance del 1979 al Mercato del Sale di Milano.
NEL 1971, ALLA GALLERIA APOLLINAIRE DI MILANO, MEMORABILE LA MOSTRA SULLE FORMICHE E SUL LORO POTENZIALE INSEGNAMENTO
Sul versante più rigoroso e progettuale, troviamo il ciclo di opere del 1967-1968 intitolato Città uno, dove la pulizia grafica e la geometria raccontano anche dell’aspirazione a un dialogo con l’architettura e dove gli stimoli optical si fondono con le cromie pop: forme e volumi vengono definiti in un caso dai contorni nitidi dell’ombra, in un altro dall’intreccio dei colori primari.
I rischi della sovrappopolazione ispirano invece una serie di tele emulsionate (presentate alla X Quadriennale di Roma del 1975) dove la sagoma della formica, ripetuta e sovrapposta in un crescendo che arriva a oscurare il supporto, svela una forte affinità con il segno della scrittura. Marrocco partecipò infatti a pieno titolo alle vicende della poesia visiva o nuova scrittura. Un processo analogo, di progressivo offuscamento, rende illeggibile l’ultima immagine di un pentagramma musicale nella sequenza di carte intitolate Sconcerto (musiche integrate).
IN OPERE COME POLLUTION E OPERAZIONE VESUVIO, EMERGE LA SUA SENSIBILITÀ PER LE PROBLEMATICHE AMBIENTALI
La riflessione sulle formiche e sul loro potenziale insegnamento era stata al centro, nel 1971, della sua personale al Centro Apollinaire di Guido Le Noci. In quell’occasione si augurava di “avviare o ravvivare un dialogo con la natura, aprire alla comprensione di un nuovo equilibrio ecologico, che l’uomo moderno con il suo mondo artificiale e la società industriale con le sue speculazioni stanno fatalmente smarrendo”. Parole profetiche e sacrosante.
Questa sensibilità per le problematiche ambientali spiega la sua presenza a manifestazioni seminali come Pollution e Operazione Vesuvio ed è alla base del ciclo Uomo ambiente del 1973, che chiude l’esposizione. Sono tele emulsionate riproducenti accumulazioni di carcasse di automobili colorate, che l’artista immagina essere state eruttate dal Vesuvio. Una visione catastrofica e spaesante, forse ispirata dall’amicizia con Pierre Restany, catalizzatore delle poetiche neodadaiste sulla scena internazionale.