La luce del nord • Rovigo: A Palazzo Roverella personale di Vilhelm Hammershøi

8 Aprile 2025

È la prima retrospettiva in Italia dedicata al pittore danese

Palazzo Roverella ospita, fino al 29 giugno, la prima retrospettiva italiana dedicata al pittore danese Vilhelm Hammershøi (1864-1916). La rassegna presenta anche lavori di suoi colleghi non solo scandinavi e belgi ma anche, curiosamente, italiani e francesi. In comune hanno la predilezione per atmosfere intime e minimaliste, spesso cariche di inquietudine, apparentemente più affini a un approccio all’arte tipicamente nordeuropeo.

Nato nel 1864 a Copenaghen in un’agiata famiglia della media borghesia, inizierà a dipingere da bambino; compie regolari studi accademici e debutta nel 1885 con Ritratto di una giovane ragazza (in cui è raffigurata la sorella Anna).

Da questa precoce prova, che ha affascinato Pierre Auguste Renoir, è già possibile intuire i caratteri che ricorreranno nell’opera futura: una modella ritratta, immersa in una luce morbida, appare come sospesa in una dimensione che la rende in qualche modo irraggiungibile dall’osservatore, anticipa l’atmosfera enigmatica dei suoi interni domestici (interiør), in gran parte realizzati nelle sette differenti abitazioni dove risiederà nel corso della vita.

Il silenzio, l’attesa e la contemplazione dell’ineludibile condizione di solitudine dell’essere umano sono i temi ricorrenti.

Non è un caso che la figura sia spesso assente nelle composizioni degli interni domestici: oggetti d’uso quotidiano - divani, tavoli, seggiole e porte semichiuse, mute e inquietanti - sembrano testimoniare la presa d’atto della dolorosa incapacità dell’uomo di costruire un rapporto con la realtà circostante. Scrive Hammershøi: Come mai dipingo tutti questi interni? Non lo so (…) Ho sempre trovato un salotto del genere molto bello, anche se non c’è nessuno dentro, anzi forse perché è vuoto.

Così in Luce del sole nel salotto III (1903) protagonista è proprio la luce. Entra da sinistra a illuminare una parete spoglia, se non fosse per un ritratto appeso sopra il divano, posto quasi al centro della composizione fra due sedie bianche.

Nessuna raffigurazione umana, dunque, a parte il ritratto nel quadro appeso alla parete azzurro grigia, peraltro completamente in ombra. E anche quando appare (spesso si tratta di figure muliebri intente a svolgere azioni quotidiane) è una  presenza sempre discreta, avvolta da un misterioso senso di sospensione che fa sospettare tensioni segrete.

Il  distacco fra l’uomo e la realtà emerge nella serie dei ritratti di spalle come nel Riposo (1905), una giovane donna (la moglie, Ida Ilsted) con i capelli raccolti che lasciano la nuca scoperta, pur non priva di una certa tenerezza, si rivela indisponibile a entrare in contatto con l’osservatore, rimane seduta, girata verso il muro, celando così  volto ed emozioni, che resteranno inafferrabili. Quindi una presenza vicina allo spettatore - sembrerebbe quasi possibile  accarezzarle la nuca - eppure distante. Ritrae quasi sempre membri della famiglia (madre, sorella, moglie) o amici stretti.

Agli interni danesi, ordinati e claustrali, con o senza figure, si alternano motivi di vedute urbane deserte, dipinte nel corso dei numerosi viaggi in Europa, ed anche in Italia, sebbene produrrà una sola tela di soggetto italiano: Interno della chiesa di Santo stefano Rotondo a Roma del 1902, che lo collocano idealmente in un punto sospeso nel tempo fra Jan Vermeer e le solitudini novecentesche di Edward Hopper.

Nei suoi lavori troviamo la predilezione per le tonalità di grigio e di marrone, raramente illuminate. Dice l’autore: “Sono assolutamente convinto che un dipinto ha il miglior risultato, in termini cromatici, se ci sono meno colori”.

La rassegna propone inoltre un confronto con i suoi contemporanei, come Carl Holsøe (1863-1935), suo ex compagno di accademia ed anche lui pittore d’interni (un soggetto molto popolare nella Danimarca del XIX e XX secolo) nelle cui tele, tuttavia, predomina una luce più calda.

Infine meno prevedibilmente, a riprova dell’interesse destato dalle implicazioni evocative del tema, troviamo gli interni domestici di Umberto Prencipe (1879-1962), Giuseppe Ar (1898-1956) e Orazio Amato (1884-1952), originari delle zone centro-meridionali della penisola, in cui la luce è certamente molto diversa da quella che può aver ispirato Hammershøi.

L’artista è al centro di un rinnovato interesse internazionale, con importanti esposizioni a Parigi, Tokyo, New York e Barcellona.

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