Biennale di Venezia. Impressioni a caldo del nostro direttore, Lorella Pagnucco Salvemini.
Dal 1988, non ho mai perso una visita alla Biennale di Venezia. Ne ho viste, letteralmente, di tutti i colori. Ognuna riflesso della visione del suo curatore.Sono passata da quella di Achille Bonito Oliva, vitalistica e ad alto tasso erotico, a quella un po’ lugubre e pessimista di Jean Clair. Ho assistito alla scoperta dell’arte cinese contemporanea in quella firmata da Harald Szeemann e a quella noiosa, da bravo ragazzo che ha studiato l’antroposofia, di Massimiliano Gioni, marito della attuale curatrice, Cecilia Alemani. Lei ha messo scena “Il latte dei sogni”, dal libro per bambini della Carrington. Che dire? Per ora, che ha fatto venire il latte alle ginocchia. 191 presenze femminili, 22 maschili dimostrano gli eccessi di un politically correct portato all’ esasperazione. Uno sbilanciamento che finisce per nuocere proprio a chi si vorrebbe promuovere. La manifestazione del 2022 verrà ricordata, con buona pace dì Alemani, come la biennale delle donne. Il che significa della loro ulteriore ghettizzazione. Mi spiace, ma non ci sto. Le quote rosa nell’arte proprio non mi piacciono.