Russia – Ucraina: quindicesimo giorno di guerra. Ancora boati, incendi, fiamme. È tempo di sirene antiaereo, rifugi, terrore. Di minacce di armi chimiche e nucleari. E sarebbe deflagrazione totale. L’Occidente trema, prova ad alzare la voce, ma sembra balbettare, invece. Fornisce al paese invaso armamenti e applica all’invasore sanzioni economiche che provocano miseria alle nazioni che le infliggono come a quelle che le subiscono. Informazioni e disinformazioni si rincorrono e si smentiscono da un lato all’altro del fronte. Si susseguono trattative di pace, puntualmente abortite, tregue annunciate e disattese. Intanto, sotto gli occhi macerie e corpi atrocemente mutilati, alle orecchie le urla dei feriti, i flebili lamenti dei moribondi. Chi ce la fa, scappa dall’orrore, oltre 2 milioni i profughi, finora. Donne, bambini, anziani perlopiù. Gli uomini fra i 18 e i 60 anni no, devono (vogliono?) difendere la patria, chiamati a combattere come Davide contro Golia. Fieramente, sconsideratamente? Nel frattempo, sotto entrambe le bandiere si continua a morire. Un altro lampo. Di nuovo. Il bagliore sinistro dei missili a squarciare il cielo nella notte obbliga prepotentemente a scegliere da che parte stare. A ovest e a est del mondo. E da noi è subito russofobia. Sgomento, ira, impotenza, paura obnubilano le coscienze, portano a identificare un intero popolo e la sua cultura con il suo dittatore. Follia si aggiunge a follia. Ci comportiamo come gli americani contro i giapponesi dopo Pearl Harbor. Ci dimentichiamo che fu Fedor Dostoevsij a dire “la bellezza salverà il mondo”. Oggi, viene piuttosto ricordato come un sovversivo antizarista, costretto a 4 anni di prigionia in Siberia. Tant’è. All’Università Bicocca di Milano hanno di fatto impedito un corso sullo scrittore: le successive scuse dell’ateneo al professor Paolo Nori non sono servite a ripristinarlo. A Firenze, c’è anche chi propone di eliminare la statua di Dostoevskij alle Cascine. Di questo passo, che cos’altro aspettarsi: la messa all’indice di “Guerra e pace” di Lev Tolstoj, perché meglio di chiunque ha raccontato le atrocità della guerra e acceso gli animi con la descrizione di Mosca in fiamme? Gli episodi di caccia alle streghe dilagano. Tugan Sokhiev, direttore dell’orchestra della Scala di Milano, non intende soccombere alla richiesta del sindaco Beppe Sala di prendere le distanze da Putin e rassegna le dimissioni. Per lo stesso motivo, a Monaco di Baviera è il direttore della Filarmonica, Valery Sergiev, a venire licenziato. Niente di nuovo nemmeno a ovest: no abiura, no pane. Ma, si sa, la guerra è guerra. Ad aprile, si inaugurerà la Biennale di Venezia. Farà impressione trovare sbarrate le porte del padiglione russo. Il curatore, Raimundas Malasauskas, e gli artisti Kirili Savchenkov, Alexandra Sukhareva all’indomani dell’attacco hanno tempestivamente comunicato di rinunciare alla mostra. Non hanno atteso che qualcuno chiedesse loro dichiarazioni contro il Cremlino. Previdenti, coraggiosi, codardi? Ai posteri l’ardua sentenza, a noi il senso dell’inutilità dell’arte se tace.