Prendi i soldi e scappa: l’opera di Haaning per il Museo di Aalborg
Deve essere per via della pandemia, che ha messo in miseria buona parte della popolazione mondiale. Deve essere che gli artisti, tra mostre annullate o rimandate sine die, collezionisti latitanti, mancati incassi appartengono a una delle categorie più penalizzate. Deve essere che, a volte, la povertà aguzza l’ingegno. Bisogna proprio ammettere che l’artista danese Jens Haaning una soluzione per darsi una sistematina l’ha escogitata.
Partiamo dall’inizio. Aveva concordato con il Museo Kunsten di Aalborg – amena cittadina classificata la più felice di Europa nel 2016 – la realizzazione di un’opera per la mostra “Work it out”. Oggetto della rassegna: giustizia e ingiustizia sociale, rapporti arte/lavoro. Aveva ideato per l’occasione Ho preso i loro soldi, una tela sulla quale incollare 534.000 corone pari a 72.000 euro, a evidenziare il reddito medio pro capite nella patria di Amleto. Si fa anticipare dall’istituzione l’intera somma, rigorosamente in contanti (si vede che da quelle parti non vige il mortificante limite dei 1.000 euro come nel suolo italico).
I soldi arrivano puntualmente e, assieme, le tentazioni. Lo immaginiamo a contare e ricontare le banconote, a pensare che cosa potrebbe fare lui di quel ben di Dio, che in fondo sarebbe come sputare in faccia alla fortuna immolare il gruzzoletto al sacro fuoco dell’arte. Del resto il danese, figlio di una terra dove il protestantesimo impera, ne avrà assimilato i principi cardine, come considerare il denaro segno della benevolenza divina anziché, cattolicamente, sterco del diavolo. Dunque, meglio non inimicarsi Lutero e pronipoti, non si sa mai. In un lampo di genio, cambia il titolo dell’installazione in Prendi i soldi e scappa e si comporta di conseguenza. Fa recapitare all’incredulo responsabile del Kunsten, Lasse Andersen, una intonsa tela bianca.
E le 534.000 corone che fine hanno fatto? “La performance è questa, caro direttore”, replica, e se le tiene tutte per sé. Di restituzione questo Arsenio Lupin dell’arte non ne vuole sentir parlare. Nessuna trattativa con i legali del museo. In una intervista alla radio, anzi, rincara la dose, esortando i colleghi, a dire suo sfruttati dal sistema, a fare altrettanto. Furto? Niente affatto, che lo denunciassero pure.
Per l’irremovibile Haaning, quanto presentato illustra lo squilibrio della distribuzione dei beni nella società contemporanea, quindi è più che pertinente con il tema della rassegna. Amen. Certo, la vicenda dal sapore kafkiano strappa il sorriso, sorprende, fa arrabbiare i cultori dell’arte pura. Tuttavia, al di là di reazioni emotive e considerazioni morali, restano i fatti: un artista e un museo finora misconosciuti sono balzati d’un tratto agli onori della cronaca internazionale per via di una trovata brillante.
Non sarà vera gloria, ma per come va il mondo oggi è già qualcosa. Molto, anzi.