15.000 euro per la scultura invisibile di Garau
Lì per lì, il nome non dice granché, perlomeno ai non addetti ai lavori. - Salvatore Garau, chi è costui? - mi sono sentita sempre più spesso chiedere in questi giorni da tante persone ragionevoli, giustamente sbigottite. Possibile? Si può vendere un’opera che non si vede a 15.000 euro? Sembra una burla, una fake news; nella migliore delle ipotesi, una astuta operazione di marketing.
Comunque sia, tutto vero. È accaduto realmente. Garau ha messo all’asta da Art-Rite di Milano la sua scultura invisibile Io sono.
Prezzo di stima: 6/9.000 euro, aggiudicazione 12.000, 15.000 con i diritti. Roba da matti, se pensiamo che cosa abbia comprato l’incauto o furbo acquirente - solo il tempo lo dirà: intanto, quanto a manufatto, un bel niente, aria, vuoto. In compenso, l’assegno staccato gli ha dato il diritto di ricevere una autentica (ci mancherebbe) e un foglietto di istruzioni sullo stile di quello fornito da Cattelan dopo la vendita della famosa banana. Si apprende, così, che il capolavoro deve essere trattato con tutti i riguardi.
Può essere esposto solo in un’area privata che, per carità, sia sgombra da ogni ostacolo e venga inserito in una superficie rigorosamente di cm 150x150. In tempi normali, i collezionisti invitavano a casa gli amici per far vedere con comprensibile orgoglio i loro Picasso, Fontana, de Chirico. Immaginiamo la faccia di chi verrà esortato dall’anonimo spendaccione ad ammirare in un invisibile quadrato riempito di nulla la scultura che non c’è. Qualcuno, forse, riterrà che sarebbe opportuno sottoporre l’invasato a visita psichiatrica, qualcun altro, con maggior senso pratico, potrebbe spingersi a consigliare ai parenti di bloccargli il conto corrente.
E il geniale Garau - ci vuole del genio, riconosciamolo, per riuscire in simile impresa - che fa, che dice? Si sfrega le mani, supponiamo, balzato d’un tratto agli onori della cronaca di mezzo mondo e avendo scatenato la guerra sui social fra estimatori e detrattori. Tutta notorietà, tutta grazia ricevuta. Rilascia di buon grado interviste con un tono da maître à penser. Cita il principio di indeterminazione di Heisenberg, pure il nulla ha un peso. Cerca di convincere che il suo “vuoto non è altro che uno spazio pieno di energia” e via filosofeggiando. Prende le distanze dalla cripto arte: la sua opera “è unica, irripetibile e non inquina come gli nft “.
E con chi osa ricordargli, per esempio, il Fiato d’artista di Manzoni, o il Cubo invisibile di De Dominicis, taglia corto con un lapidario siamo tutti figli di Duchamp. Povero papà Marcel, non si può affermare che sia stato sempre fortunato con la prole.