Sogni, incubi e immortalità. Ricordo di Fernando Botero, recentemente scomparso

L’infanzia in una Medellín ancora incantata. La scuola per toreri dove, anziché ammazzare i tori, li dipinge. Poi in Europa a studiare i grandi del rinascimento. Infine, il successo planetario

Proviamo a immergerci nella Medellín degli anni ’30-’40. Una piccola città andina, in Colombia, che assomiglia più a un villaggio che a quella metropoli per la quale non sente ancora alcuna vocazione. Case a due piani colorate di verde e fucsia, accatastate una a fianco all’altra, balconi da cui si affacciano donne prosperose con una rosa fra i capelli e un ventaglio davanti al viso. Un reticolato di strade tortuose e strette. Ci si muove a piedi, qualche fortunato a cavallo. Fernando Botero nasce e cresce qui. Orfano di padre a 4 anni, viene allevato dalla madre, circondato da una società angusta, fatta di reticenze e catechismo. Un luogo dove la modernità non entra. Al massimo, è un sogno coltivato di nascosto. Più diffusamente, un incubo, una perversione, una malattia. Ma la señora Botero, che la vedovanza rafforza nell’amore materno, non si cura di queste cose. Guarda con orgoglio i primi acquerelli di corride abbozzati da quello strano figlio che frequenta una scuola per toreri e, anziché imparare a matar todos, li dipinge.
Lo incoraggia. Forse pensando, non sa quanto erroneamente, che il mestiere di pittore sia meno pericoloso. Gli offre il dono, straordinario per l’epoca e l’ambiente, della libertà. Non immagina che, a seguito di quel gesto, Fernando diventerà una specie di eroe nazionale, gli dedicheranno piazze, musei. La gente lo fermerà per strada per chiedergli un autografo e poi vantarsi con gli amici di averlo conosciuto.

GLI UOMINI SI CONFIDANO LE VISITE AL BORDELLO, POSANO SGUARDI DA DOMINATORI SUI FIANCHI DI UNA BELLA RAGAZZA CHE PASSA

Non può sapere che i primi fogli di carta colorati racchiudono potenzialmente le grandi tele e le sculture che verranno, contese dai galleristi e dai collezionisti più esigenti al mondo.
Non saprà mai che il figlio, unico artista vivente, trasformerà Les Champs-Élysées in una parata immobile, commovente e poetica, di marmo e bronzo di un’altra America latina. Mitica, fantasmatica, visionaria, come nelle parole di Marquez, Borges, Amado. Diversa da quella a cui ci ha abituato la cronaca con Escobar e i narcos. Ne rappresenterà, anzi, una sorta di riscatto. Ventenne, dopo una prima tappa a Bogotá – il tempo di vincere i 7000 pesos del premio del Salone degli artisti – l’agognata Europa, finalmente. Madrid, Parigi, Firenze. Rapito da Goya, Velázquez, Tintoretto. La folgorazione davanti a Giotto, Andrea del Castagno, il rinascimento italiano. L’accanimento a perfezionare la tecnica. L’applicazione quasi maniacale nello studio della pittura a fresco. Amori che gli resteranno addosso – dentro – per sempre, mescolandosi alle prime immagini che lo hanno nutrito da bambino. Negli occhi, nel cuore e nelle opere l’atmosfera rarefatta dei suoi tropici, della sua Cordigliera, del suo oceano. Dipinge quella piccola porzione di un universo incantato che non esiste più. Una vita che scorre lenta, sotterranea, sotto silenzio, le ore felpate della siesta, quando le parole si pronunciano a mezza voce. Diventeranno discorsi di uomini sul sagrato di una chiesa ispaneggiante la domenica mattina. Decidono di affari che devono restare segreti. Si sfidano: chi è più forte, ricco, potente.

RELIGIONE, EROS E MORTE SI INTRECCIANO IN OPERE POTENTI. DI FORTE IMPATTO EMOTIVO. RITRAE UN MONDO INCANTATO CHE NON ESISTE PIÙ, MA ANCHE QUELLO DOLENTE, SCONVOLTO DALLA VIOLENZA

Si confidano le visite al bordello, inventano storie di amplessi incandescenti. Posano sguardi da dominatori sui fianchi di una bella ragazza che passa, convinti che le sue forme invitino a rapirle una virtù che, tuttavia, per rispetto del padre o del fratello non oseranno mai sottrarle. Osserviamo divertiti questo pingue e grottesco macho di tela e di pietra, sfiorato neanche per un attimo dal dubbio di essere ridicolo. Abita un angolo di terra dalla storia antica. Il suo grasso esagerato è quel che resta dell’imponenza di una scultura Maya, o della prepotenza e della superbia dei conquistadores. Gli hanno lasciato in eredità ridondanze barocche, parodie di hidalgo, gesuiti e inibizioni. Ma il sangue è caldo come il clima e quel certo quartiere dove ci si può facilmente scordare di Dio, di una moglie, di una fidanzata immacolata. Sebbene il concilio di Trento avesse accettato quasi 500 anni fa l’idea che anche la donna ha un’anima, nel cattolicissimo Sudamerica lei continuerà a essere soprattutto, ostinatamente, meravigliosamente corpo. Provocazione
della carne, che straborda, si gonfia, si arrotola a dismisura.
Si ribella con malizia alle costrizioni del corsetto. Fuoriesce audacemente dalle scollature. Tira i tessuti, mette alla prova la resistenza dei bottoni. Creature abbondanti, ingenue e peccaminose assieme. A volte, si adagiano con un sorriso sazio su divani che non si sa come, miracolosamente, riescano a sostenere il loro peso abnorme. A volte spiate, mentre allo specchio pregustano, avide, un incontro rovente. Accendono sensi arcaici, mai del tutto sopiti. Promettono felicità carnale a cui, poi, potrà forse seguire per l’amante appagato il sonno dolce, vagheggiato da Baudelaire, all’ombra dei suoi seni giganti. Ma Botero è tutto questo e molto di più. Dopo aver fatto vedere la Colombia dei suoi sogni e della sua infanzia, non può fare a meno di intrattenersi anche con quella degli incubi e della realtà. Sotto gli occhi dell’artista maturo, un paese sconvolto, dolorosamente, profondamente cambiato. Messo in ginocchio dai narcotrafficanti. Stragi, massacri, rapimenti. Le campane, che un tempo suonavano allegramente a festa, nei lavori successivi sembrano diffondere nell’aria i rintocchi lugubri e gravi della morte. In processione non si va più per onorare un santo patrono, ma la memoria di un morto ammazzato. Ovunque si posi, lo sguardo incontra lacrime e sangue. Lui avverte che la sofferenza della sua gente gli appartiene. È la sua stessa sofferenza per nascita. Per vocazione, deve dipingerla. Denuncia al mondo intero, che pure li conosce benissimo, quegli orrori, consapevole del potere della visione artistica. A differenza della immagine televisiva e giornalistica, della rapidità consumistica con cui viene divorata e presto dimenticata, la sua obbligherà invece lo spettatore al tempo rallentato della contemplazione. Che è assimilazione, riflessione, presa di coscienza. Ne escono tele potenti, dall’impatto emotivo fortissimo. Violente e struggenti assieme, fino allo spasmo. Dicono che quei martiri senza gloria non sono trapassati invano. Botero ha predisposto molto più di una pietosa sepoltura: attraverso l’arte, ha consegnato loro - e se stesso - all’immortalità.

Ora che sei cenere nel cimitero di Pietrasanta, accanto alla amata Sophia, tuo il riposo dei grandi, Fernando.

L'Autore

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Nella sua geografia dell’anima ha Venezia, la città natale, nel cuore e la Versilia eletta a buen retiro. Quando nell’adolescenza le chiedevano che cosa avrebbe desiderato fare da grande, rispondeva sicura: viaggiare e scrivere. Così, per raggiungere lo scopo, si è messa a studiare lingue prima, lettere poi.  E sono oltre 30 anni che pubblica romanzi, saggi, scrive articoli, gira per il mondo. Ci sono tre cose - dice - di cui non può fare a meno: il mare, la scrittura, il caffè. Ah: è il direttore responsabile di AW ArtMag.

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