Spinea (Venezia): personali di Francesca Della Toffola e Stefano Zaratin agli oratori di Villa Simion e di Santa Maria Assunta
Entrambi gli artisti ribaltano i termini di naturale e artificiale e invitano lo spettatore a fare altrettanto.
Nei lavori di Della Toffola, immanenza e trascendenza coinvolgono figura e ambiente senza possibilità di delimitare i confini.
Per Zaratin, sono i materiali a coprire un ruolo fondamentale.
È la natura il tema delle due esposizioni di arte contemporanea, quinto appuntamento della rassegna voluta dal Comune di Mirano, con la curatela di Santina Ricupero in collaborazione con l’Associazione Contemporis ETS. Due linguaggi a confronto, fotografia e scultura, trovano una forte assonanza nell’ambiguità della realtà rappresentata, sia essa dichiaratamente inquietante (Stefano Zaratin) o solo apparentemente idilliaca (Francesca Della Toffola). Entrambi gli artisti, per vie assolutamente differenti, ribaltano i termini di naturale e artificiale e invitano lo spettatore a fare altrettanto, anche solo attraverso la via percettiva sensoriale.
Pittura, poesia, letteratura sono contenuti non trascurabili negli scatti fotografici di Francesca che, come scrive Monica Mazzolini, possono essere considerati “poesie visive”, mentre saranno i materiali per Stefano a coprire un ruolo fondamentale, la loro “composizione chimico-molecolare e reattività all’azione plastica e manipolativa cooperano con lui alla realizzazione dell’opera”, come evidenzia Francesca Giubilei.
Francesca Della Toffola, dopo la laurea in Lettere a Venezia, si specializza a Milano, all’Istituto Italiano di Fotografia e l’interesse per la fotografia diventa anche pagina scritta perché ama fissare pensieri e riflessioni. Nel 2018, Accerchiati Incanti, gli vale il premio Hemingway: un riconoscimento importante per quella sua ricerca iniziata nel 2010 che la impegna sempre più a trovare intime corrispondenze con il mondo naturale sino a inglobare se stessa, autoritraendosi direttamente nel paesaggio. L’operazione della messa in scena fotografica ricorda per alcuni aspetti la dissolvenza incrociata cinematografica: nell’oratorio di Santa Maria Assunta la sequenza delle immagini scardina ogni riferimento temporale e spaziale, in una dimensione a tratti onirica, la figura dell’artista si intravvede tra elementi naturali o architettonici. Immanenza e trascendenza si confondono e coinvolgono figura e ambiente senza possibilità di delimitarne i confini. Anche i richiami alla pittura sono forti , perlopiù, come sottolinea buona parte della critica, alla corrente ottocentesca preraffaellita.
L’allestimento, che sospende con fili invisibili i tondi entro cui sono comprese le scene fotografiche, asseconda il moto lento che la forma circolare suscita e l’incantesimo che si rinnova continuamente nell’eterno divenire di ogni forma vivente e inanimata.
Stefano Zaratin frequenta il corso di Ingegneria elettronica all’Università di Padova e successivamente si laurea in scultura all’Accademia di Venezia. Fa, fin da subito, dei materiali una poetica che va oltre la tradizione scultorea: bitume, poliestere, nylon, paraffina, cemento, asfalto sono tra quelli più usati. Con sottili reti metalliche costruisce forme ambiguamente naturali, talvolta kafkiane, le copre con involucri di carta macerata e ricompattata, calze di nylon che fanno intravedere – sottile seduzione - le trame del materiale sottostante, li assembla senza alcuna parentela e secondo un’estetica conturbante, sempre però misuratamente raffinata. Forme naturali, che gli insetti vanno costruendo lontano da sguardi indiscreti, si aggrappano a oggetti abbandonati o dimenticati; costruisce sagome floreali di poliestere, bituminose, che escono dalle crepe di vecchi specchi a ricordo della sorprendente forza del filo d’erba che riesce a bucare l’asfalto. L’asfalto è poi fisicamente presente in alcune serie che contemplano sagome di piccoli animali in ceramica bianca che giacciono ormai schiacciati sopra (Giungla d’asfalto, 2017). Erano troppo piccoli o troppo insignificanti per essere individuati dal nostro sguardo? È forte il contrasto tra il biancore lucido e liscio delle sculture e il nero ruvido e sordo delle basi.
Una chiara denuncia per il deterioramento ambientale, per la scarsa importanza che il mondo dedica alla bellezza della natura, ma anche un percettibile invito a scorgere quanta attenzione continui a reclamare la vita.
Naturae Memoria
Francesca Della Toffola
Stefano Zaratin
Spinea (Venezia)
Oratorio di Santa Maria Assunta
Oratorio di Villa Simion
A cura di Santina Ricupero
Fino al 10/04