Scolpire anticipando il futuro - Ritratto di Augusto Perez, grande visionario

Chi si trovi davanti a una scultura di Augusto Perez – si tratti di un appassionato d’arte che già ne conosca l’opera tormentata (l’artista, nato a Messina nel 1929 e scomparso a Napoli nel 2000, tenne mostre importanti in Italia e all’estero, fu invitato alla Biennale di Venezia nel 1960 e 1966 e riscosse diffusi apprezzamenti) oppure di una persona che ne incontri un lavoro per la prima volta – resta subitamente coinvolto e turbato da una sorta di evocazione, che sempre più s’insinua e si rafforza, dei disastri che vanno ogni giorno in scena nel nostro tempo.

Eppure Perez realizzò queste opere nello scorso millennio, anche se una sua affermazione del 1969 già ci rendeva avvertiti dei suoi intenti: “Io vorrei che lo spazio ed il tempo che stabiliscono le mie sculture fossero lo stesso spazio e lo stesso tempo del presente. Rispetto al quale, però, il passato non è in rapporto di esclusione ma di simultaneità”.

STRAORDINARIO MODELLATORE DI FORME, PARTECIPA ANCHE A DUE EDIZIONI DELLA BIENNALE DI VENEZIA NEL 1960 E NEL 1966

Dunque, quando Perez si è cimentato con le figure della mitologia (Edipo e la Sfinge, Crocifissione dell’Apollo del Belvedere, Narciso, Kronos, il tempo inesorabile che tutto divora) o con gli esseri che se ne stanno sul crinale di una incerta definizione (Ermafrodito, Grande Centauro, Grande Sirena, progenitori degli attuali, inquietanti cyborg, nei quali s’innestano elementi artificiali su un corpo umano), o, ancora, con eventi che segnarono un turning point nella storia umana (la Crocifissione-Deposizione), che restano comunque memorabili (Terrae Motus) o che evocano momenti particolari della vita (Whisky, Anniversario), sempre ha cercato di piegare quel tempo lontano a una riflessione sul presente.

Ecco perché oggi subito percepiamo che le opere di Perez, ancorché datate a decenni fa, hanno saputo introiettare i lineamenti del futuro, giacché palpitano di qualcosa di terribilmente familiare con cui quotidianamente siamo costretti a confrontarci: la devastazione di città e abitazioni; la sottrazione di migliaia di persone all’esistenza cui ciascun essere vivente ha diritto; l’esibizione di lacerti di corpi feriti e martoriati.

NEL SUO LAVORO, OPERE DEDICATE ALLA MITOLOGIA RIESCONO A FAR RIFLETTERE SUL TEMPO PRESENTE

MessPerez sembra dunque avere sentito l’orrore verso cui stavamo incamminandoci, come i nativi d’America che auscultavano il terreno per carpire l’avvicinarsi di un pericolo: nelle sue sculture brandelli di corpi e lacerti di oggetti, spesso veri e propri relitti – tramando de La zattera della Medusa di Géricault –, si vanno aggregando e compenetrando, in un processo di germinante metamorfosi dall’ignoto approdo.

Questa vocazione di Perez alla riflessione sullo spirito dei tempi già s’era annunciata, all’esordio, con i mutili Trofei, e poi con il ciclo degli Specchi, nei quali una testa o una figura s’ergevano accanto a una cornice vuota, tese ad attraversare quel confine ideale e tentate, dopo esservisi vanamente riflesse, di ripercorrere l’esperienza di Alice in Attraverso lo specchio di Lewis Carroll.

UN'ARTE CHE ALLUDE A QUANTO IL TEMPO ABBIA ORMAI EROSO E SFIGURATO, IN UN CONTINUO RINCORRERSI DI OMBRE E BAGLIORI

Agli oggetti (mensole, cornici, colonne, piedistalli) inseriti da Perez pare appoggiarsi un’umanità mutilata nel corpo e devastata nell’anima. L’artista è uno straordinario modellatore di forme – rintracciamo sempre il percorso frenetico dei polpastrelli sulla creta, come in Piccola Notte e nelle Meridiane – che delinea nitidamente certi particolari anatomici (i seni palpitanti di una donna) e allude a ciò che il tempo ha ormai eroso e sfigurato, in un continuo rincorrersi di ombre e bagliori.

Perez è uno scultore visionario – si sono fatti i nomi di Rosso, di Boccioni, di Giacometti, di Bacon –, segnato da un lucido delirio e dai presagi che s’affollavano nella sua mente, conscio di una incombente generale “decostruzione” (un termine caro a Jacques Derrida), dell’incomunicabilità e della solitudine, della follia e della tragedia del tempo in cui visse, e dell’inestricabile groviglio tra strazio e bellezza, tra presenza della vita e annuncio della morte, al di là della fallace attesa delle “magnifiche sorti e progressive”, denunciata da Leopardi in La ginestra.

MENTRE RIFLETTE SULL'INCOMUNICABILITÀ, LA SOLITUDINE E LA FOLLIA, PLASMA FIGURE DALL'INESTRICABILE GROVIGLIO DI STRAZIO E BELLEZZA

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