Nella rassegna dedicata a Leonardo e ai Leonardeschi, 15 opere dagli anni ’60 a oggi sigillano il suo legame con la classicità
L'arte di Giuliano Vangi, appena scomparso all'età di novantatré anni, riusciva mirabilmente a coniugare la lezione di alcuni grandi maestri del passato con inquietanti problematiche della contemporaneità. Quando da Pesaro se ne veniva nell'ampio studio di Pietrasanta, in Versilia, si comportava da inflessibile, rigoroso impiegato di se stesso: orario di lavoro dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 18 con pausa per un frugale pasto e per fumare una sigaretta. Il tempo restante era destinato alla progettazione, al disegno, a definire l'idea di una scultura da modellare innanzitutto nella mente perché la folgorazione o la lenta crescita di questa idea doveva percorrere il filo che legava quel passato alla consapevolezza del presente e alla sua proiezione in un'immagine di stupefazione, di travaglio o di ammonimento nei riguardi di coloro che avrebbero accolto il risultato di tale visione. Di fronte alle sue composizioni non si poteva e non si può rimanere impassibili perché esse ci guardano, ci interrogano nel profondo dell'anima e infine ci giudicano. Pensiamo per esempio all'opera intitolata Vejo da lui realizzata nel 2010 utilizzando una motocicletta cavalcata da un personaggio fuso nel bronzo la cui terribilità veniva evidenziata da una doppia mano protesa verso di noi e da un ghigno parzialmente coperto da una maschera. Rappresentava il sinistro frutto di un malinteso progresso tecnologico.
ORIGINARIO DI BARBERINO DEL MUGELLO, STABILITOSI A PESARO, AVEVA SCELTO PIETRASANTA PER LE SUE CREAZIONI PRESSO LABORATORI DEL MARMO E FONDERIE
Vangi, toscano originario di Barberino del Mugello, aveva iniziato a scolpire all'età di sette anni usando uno scalpellino e un mazzuolo regalatigli dal nonno a preannunciare un roseo futuro che lo porterà anche in Brasile per sette anni dove si dedicherà all'astrattismo. Si compirà quindi il suo passaggio alla figurazione secondo un percorso per lo meno singolare rispetto a quello normalmente intrapreso dai suoi colleghi. Stabilitosi a Pesaro, sceglierà Pietrasanta per le sue sperimentazioni presso i laboratori e le fonderie che hanno accolto e realizzato proposte creative e compositive dove il colore assume un singolare valore narrativo. Infatti Vangi amava anche fornire un'impronta, una vera veste pittorica alla scultura attraverso il contemporaneo uso di diversi materiali e del colore che giustificava così: “Gli antichi greci amavano dipingere i marmi. Purtroppo il tempo ha cancellato le tracce di simili interventi”. Sono nate pertanto opere policrome in legno, in marmo, in pietra e in bronzo dove l'onice, il corallo, l'avorio, il nichel e l'argento forniscono intensi o modulati respiri espressivi. Tra le prime ricordiamo in particolare la scultura Uomo in piedi in legno policromo del 1963 appartenuta a Giovanni Testori, quindi la Donna con cappello nero del 1989 dall'ampia sottolineatura in blu e il pensieroso Uomo vestito di grigio del 2000. Invece il marmo bianco di Carrara viene accarezzato da morbide varianti tonali in Elena del 1980 mentre un delicato cromatismo, promosso da una lega di nichel e argento, avvolge la Ragazza col cappotto del 1989. E aveva escogitato anche un singolare sistema per coinvolgere concretamente la gente nelle sue intenzioni creative. Pensiamo per esempio alla Scultura della Memoria realizzata per i 150 anni di Rossini, un intervento che comprende l’omaggio a grandi marchigiani come Raffaello, il Duca di Montefeltro, Leopardi, ed è circondata da alcune panchine. Una di queste è occupata dalle sagome di una coppia di innamorati: “Ci si può sedere vicino a loro e stare con loro. Il mio è un invito a vivere la scultura” (Vangi).
COME GLI ANTICHI GRECI, AMAVA FORNIRE ANCHE DI UNA VESTE PITTORICA LA SCULTURA
Questa sua peculiarità di interpretare il mondo che ci appartiene è stata apprezzata nelle numerose rassegne ospitate in alcuni tra i principali spazi espositivi d'Europa, degli Stati Uniti e dell'Estremo Oriente. Ricordiamo in particolare la grande mostra alla Società Promotrice delle Belle Arti di Torino nel 1989, comprendente 33 opere inedite e un gruppo di disegni; sono invece del 1995 l'esposizione al Forte del Belvedere di Firenze e la sala personale alla Biennale di Venezia; nel 2001 si tengono le sue personali all'Ermitage di San Pietroburgo. L’Open-Air Museum di Hakone, in Giappone, ha acquistato una sua opera mentre l'anno seguente si inaugura nella città di Mishima, ai piedi del Fujiyama, il Museo Vangi che ospita un centinaio tra sculture e disegni. In seguito riceverà dalle mani del Principe Hitachi l’ambitissimo Premio Imperiale, che viene equiparato al Nobel dell’arte. E, a proposito di premi, vanno almeno ancora citati quello del Presidente della Repubblica ricevuto nel 1983; otterrà invece nel 1995 il Donatello a Firenze, nel 1996 il Michelangelo a Roma e nel 1998, ancora a Roma, il Premio Feltrinelli dell'Accademia dei Lincei.
NEL 2002, IN GIAPPONE RICEVE DALLE MANI DEL PRINCIPE HITACHI L'AMBITISSIMO PREMIO IMPERIALE CONSIDERATO IL NOBEL PER L'ARTE
Il 27 marzo, il giorno seguente la sua dipartita, il Palazzo Reale di Torino ha inaugurato la mostra “Autoritratto di Leonardo. Storia e contemporaneità di un capolavoro” dove, insieme al celeberrimo Autoritratto, compaiono le opere di alcuni pittori leonardeschi. La contemporaneità è rappresentata da quindici opere di Giuliano Vangi che vanno dagli anni ‘60 a oggi per sigillare il suo legame con la classicità. Un tempestivo omaggio postumo che sottolinea e onora la grandezza e la sensibilità dell'artista che ci ha appena lasciati.