La lunga vita di un protagonista dell’arte italiana del dopoguerra

Scomparso ieri per covid Turi Simeti

Un’altra grande perdita per il mondo dell’arte e, per me, di un amico stimato e generoso. Ti voglio ricordare così, Turi: mentre mi sorridi e agiti leggermente quella tua bella e intelligente mano in segno di saluto dalla porta del tuo grande studio milanese. Un arrivederci come tanti, che nessuno di noi due avrebbe immaginato essere un addio.

Lorella Pagnucco Salvemini

 

Ci ha lasciati a 92 anni Turi Simeti, artista e scultore fra i più significativi maestri dell’arte italiana del Novecento, scomparso il 16 marzo per Covid. Una vita longeva dedicata all’ironia e ai piccoli piaceri. Una carriera intensa dedicata all’arte. E una visione artistica così lucida e personale, fino alla fine: scientifica nel rapportarsi alla ricerca spaziale, eppure intima nel suo sacro colloquio con la sensorialità umana.

Turi Simeti nasce due volte. La prima volta come uomo, nel 1929 ad Alcamo in Sicilia, dove per qualche tempo si crede vagamente propenso a una laurea in Giurisprudenza. La seconda volta, come artista, quando si trasferisce a Roma nel 1958 per dare forma alla volontà e all’esigenza di fare arte in maniera assoluta e definitiva. A Roma frequenta i circoli culturali e conosce Mario Schifano, Tano Festa e Alberto Burri, presso i quali Simeti trova gli stimoli ideali per cominciare a sviluppare una coscienza artistica ed estetica. È l’epoca in cui Simeti lavora come venditore di Enciclopedie Dell’Arte porta a porta, e proprio l’incontro fortuito con Burri nel suo studio accenderà la scintilla. Fuoco, pittura, carta bruciata: così nasce l’artista Turi Simeti, e poco dopo giunge a lui il futuro archetipo e somma cifra stilistica della sua pittura: lovale.

L’ovale, figura geometrica spesso di natura ellittica, prende forma nella mente di Simeti bruciando e smussando gli angoli di cartoncini rettangolari fino a ridurli a innocue morbide curvilinee, e da quel momento è tutto un gioioso smussare. Ben presto nella produzione di Simeti l’amore per l’ovale incontra il monocromatismo e questa sinergia porta l’artista a sperimentare la sculturizzazione del medium: nascono così le sue tele estroflesse, opere ibride a metà fra dipinti e sculture. Ancora oggi il fascino delle estroflessioni è magnetico: l’ovale piatto acquista volume e passa alla dimensione tridimensionale divenendo qualcosa di pienamente fisico, un piccolo oggetto modellato in legno e saldato alle assi del telaio sul quale poi una tela viene tirata alla sua massima estensione possibile. Morbidezza delle linee e tensione. Una pelle pregiatissima che riveste lo scheletro ligneo dell’opera riportando l’inanimato alla vita. Armonia e dolore.

L’equilibrio tra luci e ombre, pieni e vuoti, forme lievemente aggettanti e piccole cune che catturano l’occhio sulla superficie delle tele man mano che gli ovali si moltiplicano, è magia pura. Così come lo sono gli effetti di variazione di luce quando rimbalza sui colori purissimi accarezzando le volumetrie estroflesse.

Il processo creativo elaborato da Turi Simeti nel corso degli anni Sessanta prende certamente le mosse dal pensiero spazialista di Lucio Fontana, padre del movimento nato a Buenos Aires nel 1946 che proclamava la pratica di un’arte slegata dai canoni classici di pittura e scultura e strettamente connessa alle dimensioni di tempo e spazio. Pensiero portato all’estremo dal Gruppo Zero, fondato da Heinz Mack e Otto Piene, e reinterpretato dagli artisti dell’estroflessione: oltre a Simeti, Agostino Bonalumi, Enrico Castellani e Paolo Scheggi, con i quali l’artista siculo instaura un intenso sodalizio non solo artistico.

Nel 1965 si tiene a Milano la memorabile mostra collettiva “Zero Avantgarde” che riunisce tutte le tendenze in circolo del decennio: ospitata nello studio milanese di Fontana, accoglie i lavori di Simeti insieme a quelli di molti altri artisti italiani ed esteri fra cui Yves Klein e Piero Manzoni, con i quali Simeti condivide la purezza assoluta del monocromatismo, poi Nanda Vigo, Bonalumi, Castellani, Dadamaino, Yayoi Kusama e il Gruppo Zero.

Consacrato dal successo della mostra milanese, Turi Simeti si stabilisce a New York fra il 1966 e il 1969 come Artist in Residence alla Fairleigh Dickinson University, esperienza che da quel momento lo vede tornare per diversi periodi negli Stati Uniti, dove a New York apre uno studio. E che darà il via nel corso degli anni Settanta a una lunga e fortunata serie di mostre ed esposizioni internazionali, personali e collettive, di grande rilievo in Svizzera, Germania e Italia. Dopo l’apertura di un terzo studio a Rio de Janeiro nel 1980 e una intensissima presenza all’estero nei dieci anni successivi, Simeti torna a esporre in Italia nel 1989 con una personale alla Galleria Vismara e con “‘Bonalumi – Castellani – Simeti / Tre Percorsi” alla Galleria Millenium, entrambi autorevoli spazi milanesi. Nel corso degli anni Novanta e primi Duemila tante mostre personali si susseguono in diverse città internazionali, fra cui Rio de Janeiro, Biberach, Kaiserslautern, Milano (galleria Vinciana, Fondazione Mudima, Galleria Poleschi), Bolzano, Trapani, Kitzbühel, Kaiserslautern, Verona, Livorno, Catania, Lugano e Montecarlo. Nel 2012 Simeti espone in due importanti gallerie straniere, la Galerie Linde Hollinger di Laderburg e la Mayor Gallery di Londra, di cui quest’ultima oltre alla splendida mostra antologica presenterà lartista a Art Basel. Nel 2014 Turi Simeti è nominato Artista dellanno, ricevendo così il Premio delle Arti Premio della Cultura conferitogli al Circolo della Stampa di Milano.

Molte opere di Turi Simeti sono presenti oggi in collezioni private e pubbliche in Austria, Brasile, Danimarca, Germania e Paesi Bassi e naturalmente in Italia: solo per citarne alcune la Fondazione Prada, il GNAM di Roma, il Museo di Novecento di Milano, la GAM di Torino, il Museion di Bolzano.

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