Parigi • Al Centre Pompidou riflettori puntati su Baselitz
Raccolte in maniera strettamente cronologica le opere realizzate nel corso di 60 anni
L’astronave, inaugurata nel ‘77 nel cuore dello storico mercato di Les Halles a Parigi disegnata da Renzo Piano e Richard Rogers, si è dimostrata nel corso degli anni una delle sedi più adatte a ospitare grandi mostre. Ed è una retrospettiva in piena regola - come dichiara il titolo “Baselitz. La retrospettiva” - quella che si dispiega negli ampi spazi del Centre Georges Pompidou, raccogliendo in maniera rigidamente cronologica i lavori realizzati dal maestro nel corso di sei decenni.
Baselitz nel '61 rigetta il nome di battesimo Hans Georg Kern a beneficio di quello attuale tratto dal luogo di nascita
In rassegna incontriamo le opere “selvagge” dei primissimi anni ‘60 legate al Manifesto Pandemonio pubblicato nel ’61 - quando rigetta il nome di battesimo di Hans Georg Kern a beneficio di quello attuale tratto dal luogo di nascita - la serie degli Eroi, le composizioni Fratturate, i dipinti di grande formato dei cosiddetti Forestali fino ad arrivare all’inizio della produzione dei famosi quadri capovolti del ‘69. In mezzo, nel ’63, lo scandalo provocato dalle tele esposte alla Galerie Werner & Kats a Berlino Ovest (che portò al sequestro di The Big Night Down e Naked Man per contenuto osceno) e, nel ’65, il soggiorno di sei mesi a Villa Romana, a Firenze – dove dal ‘76 allestisce un atelier aggiuntivo e approfondisce la conoscenza di Pontormo, Rosso Fiorentino e Parmigianino, a cui rimarrà legato per tutta la carriera come dimostrano i dipinti esposti.
La rassegna offre la possibilità di indagare la natura delle opere e l’evoluzione linguistica che lo ha condotto a creare un’armonica convivenza fra astrazione e figurazione. Dal percorso espositivo e dal ricco apparato didattico-divulgativo risultano palesemente le affinità elettive di Baselitz, da quelle dei primi anni ‘60 con artisti come Picasso, Giacometti, senza trascurare le performance di Beuys e l’onnipresente ombra stilistica di Die Brücke, passando poi per il manierismo italiano. Ma, soprattutto, sono la sorgente e il motore dell’articolata ricerca di Baselitz a disvelarsi al visitatore: quei fulcri a sostegno di oltre 60 anni di una poetica che ha portato lo storico Andres Franzke nel 2013 a dichiararlo l’artista più influente del suo tempo insieme a Jackson Pollock e Philip Guston.
È lui stesso a chiosare e riassumere il suo percorso creativo: “Sono nato nel bel mezzo di un ordine distrutto, un panorama in rovina, un popolo e una nazione in rovina. Non volevo introdurre un nuovo ordine. Avevo visto abbastanza di quelli che venivano chiamati nuovi ordini. Sono stato costretto a mettere tutto in discussione (...) Non ho mai posseduto né la sensibilità né la conoscenza filosofica dei manieristi italiani. Ma sono un manierista, nel senso che sento la necessità di deformare le cose. Sono brutale, naïf e gotico”.