Come cambio prospettiva - Mantova, Pablo Picasso a Palazzo Te

15 Novembre 2024

Allestita nel cinquecentesco Palazzo Te, realizzato da Giulio Romano come luogo di rappresentanza ed “onesto ozio” del suo committente, il principe Federico II Gonzaga, la mostra “Picasso a Palazzo Te. Poesia e Salvezza” propone una cinquantina di opere, alcune mai esposte in Italia.

Suggestivo per il visitatore l’accostamento fra gli affreschi rinascimentali e le opere del maestro spagnolo.

In particolare, è la “Sala dei giganti”, affrescata dallo stesso Giulio Romano (il soggetto è tratto dalle “Metamorfosi” di Ovidio) a introdurre il percorso espositivo. Non appare casuale che il concetto di procedere nel tempo, attraverso la modificazione della forma (tema mutuato nel ‘500 dalla cultura classica), sia rivisitato da Picasso. Appassionato di letteratura greca e latina, è affascinato dalle tematiche della trasformazione, infatti, nel 1930, dedicherà proprio a Ovidio, una serie di incisioni.

Nei volti disperati e deformati dei giganti che hanno osato sfidare Giove, ritratti da Giulio Romano mentre vengono travolti e schiacciati da enormi massi, è possibile scorgere quell’idea rivoluzionaria della scomposizione della prospettiva che lo caratterizza e lo ha reso celebre e che, per sua stessa affermazione, gli era stata suggerita da sogni o forse incubi, in cui osservava i propri arti aumentare di volume o rimpicciolirsi.

In Femme couchée lisant (1939), il volto della giovane donna sdraiata, assorta nella lettura di un libro, è ricomposto in un’immagine che la ritrae sia di fronte che di profilo: sembra quindi in atto una trasformazione del viso, ricombinato come se il punto di osservazione comprendesse diverse angolazioni.

Il corpo, ritratto in una posa che dovrebbe suggerire il rilassamento della lettura, appare invece rigido ed innaturalmente contorto, quasi fosse composto di materiale gommoso e plasmabile.

Ancora più estrema nella sua astrazione l’opera Nu Cauché (1932): la figura è appena riconoscibile in un vortice di volumi colorati, che suggeriscono all’occhio un movimento circolare indipendente di ciascuna delle parti che la compongono.

Nell’arazzo Minotaure (1935), intessuto in lana e seta, osserviamo addirittura una trasformazione della trasformazione: Picasso, qui artista/artigiano, va oltre il mito della classicità e compie una metamorfosi sul minotauro, la cui testa poggia direttamente e si innesta – senza alcun torso – su di un paio di gambe umane che corrono.

Innovare, trasformare, scomporre e ricombinare trascendendo le regole della morfologia umana e perfino di quella mitologica, in una ricerca, forse ispirata dal sogno, che sembra non conoscere limiti e che fa di Picasso un plasmatore di corpi e di forme che, nello sforzo artistico gareggia, sfidandola – un po' come i giganti di Giulio Romano – con la forza creativa della natura o della divinità. Fino al 6 gennaio 2025. A cura di Annie Cohen-Solal e Johan Popelard. Catalogo Marsilio.

 

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