Il sottile equilibrismo delle arti

Esiste un’espressione artistica che guidi tutte le altre?

Dai primi del’900, a livello europeo, ci si va interrogando su un tema di sottile, intensa suggestione. C’è una forma d’arte che guida tutte le altre? C’è realmente una classifica non scritta? E quali sono stati i criteri per la sua compilazione? Insomma, sviluppa maggior fascino la poesia o la pittura, la letteratura o la fotografia? E le cosiddette arti minori sono davvero tali? O si è trattato di una sottile bugia per decapitarne da subito le potenzialità?

Tiriamo fuori una prima verità. Innanzitutto, non ci sono graduatorie. Ognuno vive sensibilità diverse e, quindi, privilegia un’espressione artistica rispetto a un’altra. Non è nemmeno un problema di maggiore o minore radicamento culturale. È solo, affermiamolo con chiarezza, il lasciarsi guidare dall’istinto che presiede a queste scelte. Magari, qualcuno proverà a sistematizzare il tema con la fruizione delle forme artistiche (esistono sicuramente più appassionati di letteratura che di poesia e si vendono conseguenzialmente più libri, più riviste, magari più dispense letterarie). Ma sono dati che eludono dalla qualità.

Innanzitutto, perché, per esempio, una bella poesia può tranquillamente mettere all’angolo migliaia di inutili volumi, e poi perché la qualità, come il vino, non si misura con il suo consumo. Anzi, potrebbe essere tranquillamente il contrario. In fondo, la conoscenza di una nicchia, di un anfratto artistico potrebbe essere un nettare per palati fini, da tenere magari nascosto, segreto, per non deturpare quella scoperta, per non aprirla al confuso vociare di tanti. Insomma, non esiste un vero metro di giudizio e chiunque provi a realizzarlo si muove sulle sabbie mobili dell’incertezza.

Ma scandagliamo ancora. Le arti viaggiano come le mode. Alcune conservano una loro classicità (pittura, letteratura), altre sono cresciute prepotentemente in questi decenni (la fotografia). Come le borse, le arti soffrono di rialzi e di ribassi non solo sul piano degli indici generali. Ma anche al loro interno.

Prendiamo il ‘700 pittorico. Per lunghi anni è stato confinato in un cono d’ombra. Pochi collezionisti, poche aste, regesti critici limitati e spesso insufficienti. Sembrava che l’800 dilagasse ma sono bastati gli anni della crisi per rimettere tutto in gioco, come in un gigantesco risiko. Il ‘700 è tornato prepotentemente alla ribalta, l’800 ha perso decisamente vigore e una outsider come l’arte contemporanea, per qualche periodo un po’ in ombra, ha recuperato i titoli di prima pagina In pochi anni, attraverso i complessi meccanismi dell’arte (mostre pubbliche, esiti d’asta, presenza in fiere antiquarie internazionali, discesa in campo di un nuovo collezionismo internazionale), a conferma che ogni marcia può interrompersi o diventare inopinatamente sprint.

E il caso della fotografia merita qualche ulteriore riflessione. Qui, il fenomeno è degli ultimi vent’anni, non di più. Prima, i grandi archivi fotografici erano semplici incunaboli per pochi appassionati. Esistevano, certo, agenzie fotografiche internazionali che sguinzagliavano i loro uomini in giro per il mondo, magari anche sui fronti di guerra, per carpire un’immagine che desse senso ad una prima pagina, ad un ricco reportage. Ma, progressivamente, giorno dopo giorno, la fotografia ha superato la parola scritta.

Semplice il motivo, l’immediatezza dell’immagine trasuda un tale innesto di chimico di emozioni di rapidissima azione che può competere solo con un video. Ma il concepimento di quell’attimo, la fissità di quel momento sono un prodotto preconfezionato che non richiede ricerche. Sono lì, glaciali. Impongono la loro verità senza orpelli, col valore di un fotogramma, probabilmente irripetibile, che parla al cuore della gente e si svela con assoluto, lucido candore. Poi, certo, il video potrà descrivere meglio, disegnare la genesi di quell’attimo e magari le sue inattese conseguenze, la parola potrà dare una cornice storica, inquadrare l’epoca, il protagonista, la storia ma nulla riuscirà mai a trasferire in un secondo quell’emozione che parla ai nostri sensi e che, magari, accanto a mille interrogativi, genera anche molecole di adrenalina allo stato puro.

Robert Walser non conosce la competizione tra le arti ed introduce nuovi elementi creativi. Faticosamente, proveremo a costruire una risposta.

Chi stabilisce la fortuna di un artista? Il successo? Il giudizio critico? La sua piacevolezza o magari la capacità di interpretare lo spirito del tempo? Il senso di novità che esprime o la voglia di riallinearsi al dettato di un certo periodo? Interrogativi di sottile, intensa temerarietà che avanziamo con pudore ma che ne sottendono altri di più intensa inquietudine: chi giudica? E quale attendibilità conserva, tanto oggi quanto nel futuro, quel giudizio?

Domande difficili, problematiche che rischiano risposte evanescenti. Il mio cammino, ora, si fa incerto. Mi sento come un acrobata che volteggia su un filo sottile, magari sottilissimo. Non ho contrappesi per equilibrare i miei pensieri, posso solo guardare avanti e procedere.

L'Autore

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Custodisce mille interessi. Giornalista, saggista, medico chirurgo plurispecialista, ma soprattutto napoletano, il mestiere forse più difficile e complesso. Ama la vivacità culturale, le tesi in penombra, la scrittura raffinata e ribelle. Ma ama anche la genialità del calcio e la creatività dell’arte. Crea le sue rubriche settimanali su alcuni quotidiani nazionali muovendosi sul pentagramma del costume, dei new-media, della cronaca. È stato più volte senatore e parlamentare della Repubblica perché era affascinato da quella battaglia delle idee che oggi sembra, apparentemente, scolorirsi.

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