Le parole abbandonate dall’anno che ci lascia disegnano un fragile confine. Apparentemente, tra mille pensieri, uno strano, quasi inconscio ottimismo pervade il Paese. Costantemente, sui teleschermi, in queste prime settimane, le immagini legate alle prime vaccinazioni, sorrisi, dichiarazioni al miele, l’uscita dal tunnel che sembra finalmente nitida, esplicita davanti a noi. Molti, ora, hanno voglia di capire quando e come approderanno al siero, quando e come riusciranno a toccare la riva della propria salvezza. L’ansia di mettersi tutto alle spalle è un nuovo contagio. Si sprecano, sui media, gli spot incoraggianti. Il Covid, per loro, è un problema relativo, legato quasi al nostro passato, destinato a scomparire in pochi mesi. Il suo risvolto sartoriale è il ritorno alla normalità, è una nuova realtà che si va materializzando, giorno dopo giorno, la seduzione di un nuovo gioco del destino che sdogana per tutti la libertà. Ma è un rifugio della mente che respira di ombre allegre. La verità resta il solito, oscuro orizzonte. L’Europa, nei suoi primi passi, è apparsa sostanzialmente impreparata per una vaccinazione di massa.
I tempi si annunciano più lunghi del previsto. E di fronte a nuovi giorni difficili, di fronte a clausure più o meno premeditate, l’arte, il cinema, il teatro sono costretti a ripercorre i più recenti sentieri comunicativi. Fuori dai propri spazi tradizionali, attraverso nuove dimensioni di dialogo, su impronte ancora incerte. La storia ci insegna che, dopo le grandi depressioni, dopo le guerre, dopo le catastrofi, c’è sempre, in controtendenza, una fase di ripresa culturale, economica e sociale nuova, un nuovo spirito del tempo che attraversa impetuosamente il mondo. Un dato pressoché scontato. Ma l’arte ha il dovere di interrogarsi oggi sui contraccolpi legati alle restrizioni dei musei e degli spazi espositivi, sulla risposta legata alla nuova fruizione di beni artistici e culturali, sulla diversa offerta di palinsesti digitali, su come reagiranno artisti, galleristi, case d’asta all’incertezza del dopo Covid. Un planisfero assolutamente nuovo che dovrà essere riempito di certezze diverse, di punti di riferimento finalmente espliciti e scoperti, sapendo che il Covid si è portato via, definitivamente, anche il romanticismo dell’arte e gli arabeschi della sua tradizione.