Roma • A Villa Borghese i finti reperti archeologici di Damien Hirst
Ossessioni, evidente teatralità, falsi detriti sottomarini confermano il carattere artificioso della sua estetica
Le autorità pubbliche salutano la mostra di Damien Hirst “Archaeology Now” alla Galleria Borghese come segno e stimolo di un “nuovo rinascimento italiano” – il quinto negli ultimi cinque o sei anni, se ho ben tenuto il conto. In caso steste guardando l’orizzonte in trepidante attesa del nuovo rinascimento, giova ripetere una volta di più che, per quanto si sia trattato di un momento irripetibile (un grande respiro e diciamolo ancora: irripetibile) della storia non solo nazionale, è stato anche un periodo catastrofico dal punto di vista politico, zeppo di sconvolgimenti che avrebbero in seguito condannato l’Italia ad avere un ruolo sempre più marginale nello scacchiere europeo e mondiale. Inoltre, lo splendido scenario di Villa Borghese – uno dei templi del barocco romano – riesce come meglio non potrebbe ad esaltare i contrasti, il carattere artificioso e le profonde inquietudini che segnano il lavoro di uno degli artisti più controversi – e, guardacaso, barocchi – della scena contemporanea.
Una mostra barocca sia per l'ambientazione che per l'allestimento
Barocca, la mostra lo è sia per l’ambientazione che per l’allestimento: nel primo caso, per la cornice della Galleria Borghese e la sua straordinaria collezione, composta di un palinsesto di opere che vanno dall’antichità della statuaria romana fino a quella che ai tempi del cardinale e mecenate Scipione Caffarelli Borghese era pura arte contemporanea, con Caravaggio e Bernini; nel secondo, la scelta intelligente dei curatori è di riproporre un confronto tanto forzato quanto ironicamente corretto da un punto di vista filologico: opere d’arte contemporanea appartenenti alla serie veneziana Treasures from the Wreck of the Unbelievable fingono attraverso l’espediente – classico – del ritrovamento, e con le loro stesse iconografie, soggetti, temi, di appartenere a un tempo passato che non è il loro.
Le opere fingono attraverso l'espediente del ritrovamento di appartenere a un tempo passato che non è loro
Ma, attraverso la finta di patina di detriti sottomarini che dovrebbe accentuare il carattere accidentale del loro ritrovamento, rivelano l’abbandono dei modelli classici in favore di un’estetica ultra-contemporanea in odore di Kitsch. A partire dall’ossessione per l’inscindibile rapporto tra vita e morte delle opere precedenti, come i famosi squali in formaldeide (The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living – 1991) e i teschi tempestati di diamanti (For the love of God – 2007), una volta di più Hirst dimostra di essere l’ultimo dei barocchi più che il primo dei contemporanei. Fuori tempo massimo, forse, ma la simulazione è così evidente e teatrale da rendere impossibile decidere quale sia il corretto luogo e tempo di un’opera e di un artista.
Damien Hirst: Archaeology Now
Roma, Galleria Borghese
A cura di Anna Coliva, Mario Codognato
Fino al 7/09
In contemporanea una mostra anche da Gagosian
CREDERE PER COMPRARE
Se, dopo aver visto la mostra alla Galleria Borghese ed essere passati dal bookshop, sentiste l’impulso di spendere qualche milione per acquistare opere appartenenti alla stessa serie di quelle esposte nel museo, correte da Gagosian per la mostra di Hirst Forgiving and Forgetting! Anche in questa sede, con sculture in marmo rosa di Portogallo come Minnie (2020), il ricco gioco fra materiali e modelli antichi e contemporanei esaspera l’ironico gioco di contrasti tra vecchio e nuovo, vita e morte, verità e menzogna, così tipico dell’opera di Hirst. Un gioco che ha sempre saputo far parlare di sé e sicuramente non a buon mercato. Ne varrà la pena? Tutto dipende da ciò in cui vuoi credere, com’è solito dire lo stesso Hirst.