Milano • Grande monografica di Pablo Atchugarry a Palazzo Reale
Nella Sala delle Cariatidi, oltre 40 sculture illustrano il lungo percorso dell’artista uruguayano
Vuoi per la pandemia, vuoi per nuove (e già vecchie) guerre fredde, vuoi per irruenti egotismi alimentati dai social, oggi più di ieri si potrebbe, forse dovrebbe, paragonare la nostra vita individuale a una monade stanca, un solipsismo etico, estetico, per fortuna a volte eretico, in particolare in quei brevi momenti in cui, negli occhi di una persona amata, ci rendiamo conto di essere qualcosa di più di noi stessi. Noi e la realtà, infatti, siamo qualcosa di più complesso, diceva il filosofo francese Gilles Deleuze: pieghe contenenti altre pieghe, continui ripiegamenti che poggiano l’uno sull’altro, contraddizioni tra pieni e vuoti, luci e ombre, suoni e silenzi. In questo senso, la scultura di Pablo Atchugarry potrebbe dirsi sia realista che utopista: realista nei suoi giochi tra presenze e assenze, utopista nella ricerca di un’armonia fra queste. Vita della Materia, recita giustamente il titolo della mostra allestita nella Sala delle Cariatidi a Palazzo Reale (40 opere - a cura di Marco Meneguzzo – catalogo Skira – main sponsor Euromobil – 27 ottobre/31 gennaio 2022).
Per lui scolpire è come inseguire un segreto. si pone all'ascolto della materia, delle venature del marmo e del legno
L’artista uruguayano intende la sua pratica scultorea come l’inseguimento di un segreto, una ricerca che nasce dall’ascolto della voce della materia così come dalle venature del marmo e del legno. E se questo funziona per un ulivo secolare perché non dovrebbe funzionare per noi? Lo scultore, oltre a modellare la materia inseguendone la voce, plasma il silenzio di quel che non riusciamo a dire. Le sculture, soprattutto quando mantengono la loro colorazione naturale, sono tanti ritratti. Le ombreggiature diventano così riflessi di stati d’animo e la plasticità un invito a immaginare altre forme d’essere, una specie di sdoppiamento in cui, come scriveva Rimbaud nella famosa Lettera del Veggente, “Io è un altro”.
Atchugarry plasma il silenzio di quanto non riusciamo a dire. Le sue sculture sono come tanti ritratti
Pieghe, ripiegamenti: alienazione che allo stesso tempo è riconoscimento di sé e degli altri. Forse non si è scultori se non si è affetti almeno un po’ dal complesso di Pigmalione: racconta Ovidio dell’artista eponimo che, innamoratosi della sua statua, prende a baciarla e toccarla finché il marmo non si fa carne e l’opera prende vita.
Come velature che si scostano delicatamente, lembi che alimentano la passione per sé e per gli altri, le sculture di Atchugarry, grazie a linee e silenzi sapientemente distribuiti, esaltano tutto il sex appeal della materia lavorata, amata. Lo scultore ossessionato dalla creazione si innamora della propria opera, e l’opera corrisponde. Perché a nessuno basta essere se stesso: per questo abbiamo invitato l’amore e l’arte. Illusioni, forse: ma se la vida es sueño cosa c’è di più concreto?
Le ombreggiature sono riflessi di stati d'animo e la plasticità un invito a immaginare altre forme di essere