L’artista tedesca ha fatto del video il suo linguaggio d’espressione
Essere è toccare, guardare, pensare. Nella vita contemporanea gli spazi fisici diventano virtuali, l’esperienza quotidiana diventa immaginazione, costruzione artificiale. Schermi reali e mentali regolano ormai la nostra esperienza e ritmano i nostri giorni. E ci vuole qualcuno che ce lo ricordi. Questo è il compito che si è ritagliata Hito Steyerl, l’artista tedesca, classe 1966, che dagli anni ‘90 ha fatto del video il suo linguaggio d’espressione. Il Centro Pompidou le dedica, fino al 7 giugno, una grande mostra con un titolo che fa eco all’attualità “I Will Survive” e che riunisce le principali opere dell’artista.
Nei primi anni '90 racconta la trasformazione della Germania riunificata e la fine delle utopie con umore corrosivo
Nei primi anni ‘90 Hito Steyerl racconta la trasformazione della Germania riunificata e la fine delle utopie con umore corrosivo attraverso filmati adatti a una diffusione cinematografica e televisiva. Babenhausen (1997), Die leere Mitte (1998) e la serie Normality (1999-2001) analizzano una società tedesca a cavallo tra la crescita della speculazione neo-liberale e il ritorno ai peggiori fantasmi della storia. Il suo linguaggio si fa progressivamente più narrativo e satirico e la produzione passa dalla destinazione cinematografica a quella museale. In Free Fall (2009) racconta la crisi bancaria mondiale attraverso la metafora dell’incidente aereo, nel video In Defense of the Poor image (2009) utilizza immagini riciclate dal magma anarchico e inesauribile di internet, in How Not to be seen (2013) presenta un tutorial per imparare a diventare invisibili.
Analizza la società tedesca a cavallo tra la crescita della speculazione neo-liberale e il ritorno ai peggiori fantasmi della storia
Dal 2010 l’opera di Steyerl si orienta verso dispositivi concepiti per estendere lo schermo nello spazio reale e affronta in maniera critica i temi legati al nazionalismo, al capitalismo selvaggio, al controllo dell’individuo e all’intelligenza artificiale. In Liquidity Inc. (2014) ironizza sulla deregulation mondiale dei flussi finanziari e in Hell Yeah We Fuck Die (2016) fa entrare nello spazio espositivo dei robot androidi. Gli schermi si moltiplicano inseriti in meandri di tubi da cantiere e introducono la realtà aumentata. In This is the Future (2018) e in The City of Broken Windows (2019) l’artista analizza l’azione sempre più presente delle multinazionali nella sfera sociale e nello spazio pubblico. Nell’installazione SocialSim, creata per la mostra, il Salvator Mundi attribuito a Leonardo da Vinci diventa la prima opera d’arte a prendere in mano il proprio destino, auto-valutandosi. In Dancing Mania l’applicazione s’ispira alla pandemia per rivelare lo smarrimento dell’individuo nell’ambiente fisico e politico divenuto ostile.
Hito Steyerl
I Will Survive
Centre Pompidou
Paris
A cura di
Doris Krystof
Fino al 7/06