L'operazione invita a riflettere. È sufficiente la sola firma dell'autore per dichiarare un'opera autentica?
Recentemente, sulla pagina Instagram di Damien Hirst, è apparso un post che è passato quasi del tutto inosservato nonostante rappresenti un unicum nella produzione dello Young British Artist. L’artista dichiara di aver acquistato su ebay per 10 sterline una sua stessa opera fake, eseguita pure malamente. Si tratta di uno Spot Painting, ovvero un’opera con una griglia ordinata di puntini colorati su fondo bianco, facente parte di un ciclo fortunato che conta ormai migliaia di esemplari in tutto il mondo. Ebbene, dopo averlo portato nel suo studio e guardato a lungo gli è piaciuto così tanto che ha deciso di firmarlo, rendendolo autentico. Non è il primo caso di riappropriazione nell’arte contemporanea. Sono ormai celebri il Takahashi tagliato da Fontana, il de Kooning cancellato da Rauschenberg, il Richter trasformato in tavolo da Kippenberger e, in tempi non sospetti, il Fontana tricolore di Vezzoli. Tuttavia, in ognuno di questi esempi si tratta di opere che alcuni artisti hanno sottratto ad altri. Ora, siamo di fronte a un autore che si riappropria di se stesso, ma di quello falso. In alcuni commenti al post, questa operazione è stata impropriamente avvicinata alla storia di de Chirico che avrebbe firmato opere eseguite da qualche suo aiutante e poi rivendute come sue.
La riappropriazione di Hirst, da lui stesso resa subito nota, è priva di intenzioni fraudolente
Nel caso di Hirst, ci sono troppi fattori a dimostrare come l’intervento sia qualcosa di assolutamente inedito. Innanzitutto, l’artista inglese ha comprato e firmato un’opera che non era stata dipinta con lo scopo di diventare poi un falso, come sarebbe avvenuto nel caso del pictor optimus. In secondo luogo, questa riappropriazione è stata resa nota immediatamente e non c’è stato alcun intento fraudolento da parte dell’artista, motivo per cui, legalmente, non può essere perseguito in alcun modo. Infine, l’opera non è stata messa in vendita, almeno per ora; pertanto non lo si può accusare di aver lucrato sul lavoro altrui. Allo stesso modo, conclusioni simili deriverebbero dal confronto con Boetti e i suoi arazzi annodati a mano dalle donne afghane. Un altro commento ha insinuato un dubbio più che lecito, a mio avviso. Firmando il fake, Hirst lo eleva alla pari dell’originale? O addirittura meglio in quanto unicum? Se così fosse, d’ora in avanti gli c onverrebbe firmare falsi tutto il giorno: massima resa minimo sforzo. Inoltre, tutto ciò invita a riflettere su un tema. È sufficiente una firma per dichiar are autentica un’opera? A quant o pare sì e la gente, oltre che il mercato, non ha nulla da ridire.