Venezia - Lo spettacolare albero di Natale di Fabrizio Plessi in piazza fra le colonne di Todaro e Marco
Venezia celebra le festività natalizie in maniera del tutto insolita in un anno che di certo non è stato il solito.
La regina dell’Adriatico è stata colpita ormai un anno fa da un’acqua alta di dimensioni apocalittiche e a distanza di pochi mesi il Covid ha dato il colpo di grazia ad una città che ne ha sempre avuta fin troppa; pertanto, celebrare il Natale con un’opera firmata Fabrizio Plessi è un coraggioso segnale di ripresa.
Il 4 dicembre è stato collocato, tra le colonne di Todaro e Marco, un albero di Natale composto da 80 schermi digitali di un metro per 50 centimetri. Al centro di essi scorre una cascata d’oro fuso che riprende la suggestiva installazione inaugurata a inizio settembre a poche centinaia di metri: L’Età dell’Oro. Piazza San Marco risulta così circondata da cascate auree, incorruttibili come lo splendore della città lagunare.
Come ogni opera pubblica, anche questa ha scatenato reazioni contrastanti e la critica che mi preme maggiormente demolire riguarda la sua incomprensibilità. Come affermava Umberto Eco, i social hanno dato libertà di espressione anche ai cretini, e parte di questi hanno commentato dicendo che l’artista doveva realizzare un albero più accessibile e meno cervellotico.
Partiamo dal dato di fatto che l’arte non è mai stata realizzata per il popolo ma per la committenza, quindi questa è una pretesa figlia esclusivamente del nostro tempo. in secondo luogo, non spetta all’artista semplificare per rendere accessibile il suo lavoro a tutti, ma spetta alla critica d’arte il ruolo di mediatore tra bene artistico e fruitore.
Ci sono anche opere estremamente didascaliche, scontate e banali, come LOVE di Robert Indiana che ormai si vede pure sui quaderni e sugli ombrellini. Sia chiaro, erano altri anni e quindi possiamo perdonare ad Indiana di aver riempito tutte le piazze del pianeta con il suo inno all’amore, ma nel 2020 non sarebbe ammissibile tanta retorica. Da chiunque, in qualsiasi luogo e in qualsiasi epoca venisse interrogata, risponderebbe sempre allo stesso modo: love. Cosa potrà mai dire che non sia la ripetizione di se stessa?
Ma la forza di un’opera d’arte sta nel sapersi rigenerare, nel saper inglobare significati inediti, nel fornire risposte nuove a domande diverse. Allora non è più un contenitore al cui interno si trova la soluzione, ma un organismo da alimentare quotidianamente.
Alla luce di queste considerazioni, se eseguissimo un’analisi più dettagliata dell’ultima opera di Plessi, ci accorgeremmo che di per sé non si tratta di un albero di Natale, ma solamente di un albero. Il riferimento alla festività non è un elemento intrinseco, ma ci viene suggerito dal contesto, ovvero l’inaugurazione il 4 dicembre. Lo stesso lavoro esposto in un’isola caraibica in piena estate non potrebbe in alcun modo essere associato al Natale.
Se non sul Natale, su cosa si focalizza realmente l’opera?
Osservando attentamente i pannelli digitali, ci accorgiamo che puntano tutti in direzioni diverse.
Tutte le strade portano a Roma, si suol dire. Ebbene, a Venezia tutte le strade portano… da nessuna parte. O meglio, da tutte le parti.
Quell’albero è stato progettato per Venezia e simboleggia sia l’intrico labirintico di calli e sottoporteghi della città, sia il crocevia di popoli e culture che la Serenissima ha permesso dalla sua fondazione.
Non siamo di fronte a un semplice albero di Natale, anche se qualcuno, a quanto pare, avrebbe preferito esclusivamente quello, ma ci troviamo dinnanzi a un lavoro “democratico” come afferma Plessi, che rappresenta lo scambio, l’interrelazione e il dialogo che in questo ultimo anno ci sono venuti a mancare a causa del Covid. Ma al tempo stesso è un’opera che si apre a significati ulteriori e probabilmente tra qualche secolo potrebbe essere riletta utilizzando nuovi approcci analitici.
In conclusione, non possiamo pretendere che l’opera dica tutto al primo colpo d’occhio, ma abbiamo bisogno di metabolizzarla e farla decantare. Interrogarla e interrogarla nuovamente. Richiede tempo, certo; ma abbiamo tutte le feste.