A Palazzo Baldeschi, una singolare rassegna mette a confronto il maestro rinascimentale con uno dei più significativi artisti del ‘900
In occasione dei cinquecento anni dalla scomparsa di Pietro Vannucci detto il Perugino, Fondazione Perugia in collaborazione con Fondazione Burri presenta “NERO Perugino Burri” (Perugia, Palazzo Baldeschi, fino al 2 ottobre), omaggio al grande maestro rinascimentale in dialogo con uno tra i più importanti geni artistici del ‘900. Curata da Vittoria Garibaldi e da Bruno Corà, l’esposizione è arricchita da numerosi e prestigiosi prestiti internazionali e nazionali (Galleria Nazionale dell’Umbria, Musée du Louvre, Gallerie degli Uffizi): circa venti opere in totale che individuano un percorso espositivo di piena immersività nel quale gioca un ruolo fondamentale lo studio dell’illuminazione, tra l’evocativo e il misterico.
FILO CONDUTTORE DELLA MOSTRA IL COLORE NERO, CHE AFFASCINA PER LA SUA SUADENTE AMBIGUITÀ
Filo conduttore è quel colore nero che da sempre affascina artisti e appassionati per la sua suadente ambiguità. Perugino e Burri: per entrambi il nero è conoscenza. Con alcune differenze. Per Burri è un simbolo, in primis, della nuda terra (o come la definiva Esiodo, proprio la nera terra) così come della natura disgregatrice dell’essere umano, della sua biologica tendenza al caos, attratto dall’azionismo sfrenato e dalle sue conseguenze. In Burri il nero è dunque base di partenza e risultato finale di un processo di creazione/distruzione senza sosta, una materia viva, incombente e totalizzante che abbraccia ogni cosa senza possibilità di fuga.
PER BURRI, IL NERO È MATERIA VIVA, INCOMBENTE E TOTALIZZANTE, CHE NON LASCIA VIE DI FUGA
Tutto è concentrato nel colore nero e nella materia che lo compone, sia questa una forma armonica di memoria umanista (Nero cellotex, 1968), siano informi elementi unicellulari che sopravvivono nella composizione (Catrame, 1949). Per Perugino il nero è invece innovativo strumento pittorico, in grado di far emergere dall’oscurità tutto ciò che è luce: dunque anche colore, forma e, di conseguenza, materia - che per lui, come per molti suoi contemporanei, già da tempo ha assunto un valore profondamente intellettuale.
PER PERUGINO, IL NERO È STRUMENTO PITTORICO PER FAR EMERGERE DALL'OSCURITÀ TUTTO CIÒ CHE È LUCE
Infatti, mentre la composizione può anche non dipendere dalla suggestione prospettica (Ritratto di giovinetto, 1497 ca.), ogni altro suo elemento - sia questo una superficie riconoscibile, un dolce incarnato, un indumento finemente ricercato - diviene pretesto per una narrazione trasversale che prescinde dal tema narrato, dedicandosi a qualcosa di altro: la portata spirituale che qualifica il soggetto ritratto, l’ambiente culturale che frequenta, la sua immagine più sincera con tutti i pregi e i difetti del caso (Ritratto di Francesco delle Opere, 1494).