Nel febbraio1996, la vernice nel Castello di Rivoli di “Collezionismo a Torino”, la mostra curata da Ida Gianelli con una selezione di opere di sei collezionisti privati, tra i quali Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, che ricordavo per “Arte inglese d’oggi” nella Galleria Civica di Modena e per “Campo 95” alle Corderie dell’Arsenale a Venezia (ambedue nel 1995), mi consentì l’intervista pubblicata sul n.42 di “ARTE&CRONACA”. Da quella conversazione emergeva l’impostazione progettuale che la giovane e brillante collezionista aveva posto all’origine delle sue scelte, tra filoni tematici e obiettivi: i giovani artisti (inglesi, californiani, italiani), la fotografia, le donne.
Attenzioni queste che, nel corso degli anni, si sarebbero consolidate, ampliate e amalgamate tra loro nella Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, nata appena l’anno prima e impegnata nella conoscenza/ didattica/diffusione/condivisione/ produzione dell’arte contemporanea. Inizialmente nel Palazzo di famiglia a Guarene d’Alba (2007), poi negli spazi di Via Modane 16 a Torino (2002), e dal 2017 anche a Madrid. Sono seguite nel tempo una sequenza di mostre, incontri, collaborazioni ed eventi, anche in altri luoghi e in altri spazi, tra cui: “Non toccare la donna bianca” (2004), “Think Twice/Cattelan” (2012), “Gerhard Richter” (2013), “Exposed” (2019) e nel 2023 “Reaching for the Stars”. Pretesto quest’ultimo, forse, del nuovo dialogo/ intervista, che conferma la persistenza dell’entusiasmo e della cura con cui Patrizia continua a guardare all’opera, ai giovani, alle donne e al loro mondo, oltre che alla formazione, all’ecologia, e al nostro futuro possibile nel segno dell’arte.
A trent’anni dalla nascita della collezione, qual è il ricordo più importante?
I ricordi intrecciano la storia della collezione a quella della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo da me costituita appena tre anni dopo l’inizio del mio percorso collezionistico. Significativo il ricordo di Campo 6, la mostra inaugurata nel settembre 1996 alla GAM di Torino e poi riproposta al Bonnenfanten Museum di Maastricht. È stata una delle prime esposizioni della Fondazione, seguiva Campo 95 allestita all’Arsenale di Venezia durante la Biennale del 1995, e tracciava una rotta tra Torino e l’Europa, attraverso i lavori di 16 artisti internazionali come Philippe Parreno, Sam Taylor-Wood, Tobias Rehberger, Tracey Moffat, William Kentridge, Doug Aitken, Rikrit Tiravanija, i fratelli Chapman. All’epoca erano giovani promesse, oggi sono celebri. Ho capito allora che la mia idea di collezione corrisponde a una dimensione spaziosa, entro la quale l’opera è legata alla mostra, il progetto alla produzione e alla condivisione con il pubblico.
Cosa vuol dire collezionare?
Ho sempre inteso la collezione come uno strumento per entrare in contatto con le culture artistiche del nostro Paese e del mondo, osservando i passaggi generazionali e l’emergere di nuovi temi e linguaggi. Ho sempre puntato sulle opere e non sui nomi e non ho mai considerato la collezione come una forma di speculazione. Guardo alla collezione come a un lungo racconto che unisce la mia biografia a quella degli artisti, che avvicina le loro città a Torino, dove vivo e dove la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ha la sua sede principale. Oggi la collezione assomiglia a una mappa, fitta di percorsi e di incontri, nata dal dialogo con gli artisti e dalla conoscenza della loro ricerca. Quando ho cominciato, all’inizio degli anni ’90, ho rivolto l’attenzione all’arte delle giovani generazioni, seguendo un ordine sistematico, derivato dalla mia formazione in economia e dalla tradizione imprenditoriale della mia famiglia. Mi sono rivolta inizialmente ai lavori di coetanei, con i quali condividevo una costellazione di riferimenti e lo sguardo su un orizzonte comune. Ho concentrato la ricerca e le prime acquisizioni su cinque filoni: l’arte italiana, la fotografia, l’arte delle donne, la scena britannica e
la scena californiana. Poi, intorno al 2000, il mondo è cambiato: ho iniziato a collezionare artisti della generazione successiva e ho ampliato il ventaglio dei miei interessi, osservando il corso dell’arte e la sua dimensione globale. Da sempre, mi interessano gli artisti impegnati sul presente. Apprezzo i lavori che prendono posizione, che sollevano interrogativi sull’attualità e che fanno pensare.
Grande l’attenzione alle donne artiste: una rivalsa o una presa d’atto?
L’arte delle donne è uno dei filoni della mia collezione, avviato già negli anni ’90 con le acquisizioni di opere di Cindy Sherman, Barbara Kruger, Louise Lawer, Sherry Levine, Rosemarie Trockel.
Da allora, non ho mai smesso di sostenere e promuovere l’arte anche in una prospettiva di genere, dalla personale di Carol Rama all’intero anno dedicato in Fondazione alle donne (2003-2004) fino alle numerose personali di artiste allestite nel corso degli anni: Lynette Yiadom-Boakye, Berlinde de Bruyckere, Martine Syms, Daniela Ortiz, Ambera Wellmann. Resta ancora molto da fare e lo dimostrano la presenza minoritaria di opere di artiste nelle collezioni museali, la prevalenza di personali dedicate a uomini, la disparità di quotazione nel mercato.
L’attenzione non è una rivalsa, ma lo strumento per correggere questo tipo di squilibri di genere nel sistema dell’arte e nella società in generale.
Dal 2006, con il Premio StellaRe, la Fondazione riconosce il merito di donne che con il loro lavoro e le loro idee, hanno tracciato nuovi sentieri nei campi più diversi del sapere: la fisica Fabiola Gianotti, il premio Nobel Elizabeth Blackburn, la curatrice Lisa Phillips, l’architetta Kazuyo Sejima, solo per citarne alcune.
Il mio impegno nella sfera del femminile oltrepassa i confini dell’arte. Dall’ottobre 2017 sono presidente della Fondazione IEO-Monzino che dal 1994 lavora per raccogliere fondi a sostegno della ricerca clinica e sperimentale, della prevenzione e della diagnosi precoce. La Fondazione sostiene il Women’s Cancer Center dell’Istituto Europeo di Oncologia e il progetto “Monzino Women -Prendiamoci a cuore”, due progetti che mettono al centro la salute della donna.
Come e perché nasce la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo?
La Fondazione è nata nel 1995 per sostenere gli artisti e diffondere la conoscenza dell’arte contemporanea. Di ritorno dai miei viaggi all’estero, avevo constatato l’insufficienza in Italia di spazi dedicati al contemporaneo (il Castello di Rivoli era all’epoca l’unico museo di arte contemporanea). Mancavano spazi istituzionali capaci di lavorare con le giovani generazioni, centri come le Kunsthalle e i Kunstverein. Ispirata a quei modelli, la Fondazione si è affacciata sulla scena italiana e internazionale con una fisionomia precisa e una spiccata vocazione sperimentale, ciò che oggi le conferisce un ruolo nel campo della produzione di opere e mostre, della mediazione culturale dell’arte, dell’educazione e della formazione.
I giovani, la formazione e l’ecologia: tre momenti operativi senza alcuna priorità?
La formazione è una linea identitaria della Fondazione e rispecchia il suo carattere impegnato nel presente e proiettato sul futuro. I nostri programmi formativi ci permettono di trasmettere le potenzialità sociali dell’arte contemporanea e di coltivare le sue professionalità. Oltre a una ricca proposta educativa per le scuole, le famiglie, le persone vulnerabili, in Fondazione formiamo insegnanti, educatori e le nostre mediatrici culturali. Nel 2012, dall’esperienza della Residenza dei curatori stranieri, abbiamo avviato Campo, un programma di studi e pratiche curatoriali in lingua italiana. Forti dell’esperienza maturata, nel 2022 abbiamo lanciato Verso, una grande sfida per il coinvolgimento di giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, un target spesso registrato con l’etichetta di “non pubblico”. Abbiamo superato la distinzione tra attività espositiva, educativa, formativa e di ricerca, producendo un formato innovativo di mostra-laboratorio che si è concluso con il Training for the Future, concepito dall’artista olandese Jonas Staal incentrato su una pluralità di comportamenti ecologici. Le sfide sono quelle che siamo chiamati ad affrontare in un mondo segnato dal cambiamento climatico, dalla necessità di pensare a nuovi modelli di vita, dalla guerra e dai nuovi assetti geo-politici globali. I giovani hanno più vita davanti, più energia, più coraggio. Dobbiamo imparare ad ascoltarli di più.
In Italia la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo è molto attiva nelle sedi di Torino e di Guarene. Come procede la Fundación Sandretto Re Rebaudengo nata a Madrid nel 2017?
È molto attiva e opera attraverso un programma espositivo “nomade” nella città di Madrid. Ogni anno, individuiamo luoghi speciali in cui realizzare personali. Nel 2020, Ian Cheng alla Fundación Fernando de Castro, nel 2022 Michael Armitage alla Real Academia de Bellas Artes de San Fernando e a febbraio Lucas Arruda all’Ateneo. Dal 2020, abbiamo portato anche in Spagna il nostro Young Curators Residency Programme che dà agli artisti iberici la possibilità di essere conosciuti da curatori stranieri e che consente anche qui, come in Italia, di esplorare la scena dell’arte in modo capillare.
Nella diffusa incertezza contemporanea, quale può essere l’idea per il futuro?
Confido in un’arte sempre più aperta e diffusa, capace di produrre nuovi tipi di spazi e di discorsi pubblici. Da una parte l’arte è pienamente entrata nel dominio del digitale, dall’altra sta dimostrando una spiccata capacità ad attivarsi nei territori reali delle comunità. Nei prossimi anni, saremo chiamati a sperimentare modalità capaci di incrementare l’accessibilità alle opere, alle mostre, ai laboratori, al dibattito. Alla dimensione individuale e immersiva del digitale sono certa corrisponderà l’esperienza collettiva, fisica e civica del museo, destinato a mio parere a diventare una piazza centrale della futura contemporaneità.