Barcellona • Al MACBA una mostra per riflettere sulla poetica di Gonzalez-Torres
Arrivato a New York nel ’79, l’artista cubano è il testimone di una generazione in lotta contro tutti i tabù
Quarant’anni fa era il virus dell’Aids a far da padrone, a innescare paura e solitudine, ma pareva fosse destinato solo a omosessuali e borderline. Anche se non fu così, restarono per tanto tempo le categorie espiatrici, tra indifferenza governativa e perbenismo. Lo ha vissuto sulla sua pelle l’artista cubano, Felix Gonzalez-Torres (1957-1996), arrivato a New York nel ‘79, tanto da diventare testimone di una generazione che lottava per infrangere tutti i tabù.
Un combattente intimista per amore e per idealità, specialmente dopo la morte per Aids dell’amato compagno: era il ‘91, solo cinque anni dopo sarebbe toccata anche a lui la stessa sorte. Se persino Dio ha bisogno di un testimone, come scrive Cormac McCarthy nel suo “Oltre il confine”, Felix Gonzalez-Torres lo è stato in modo eccellente: testimone e vittima al contempo, ha saputo rivelare emozioni intime con associazioni metaforiche minimaliste, costruendo un raffinato viaggio esplorativo, visivo, tattile, gestuale.
Ha minato il valore stesso dell'arte, rendendola accumulabile, ripetibile, prelevabile gratuitamente
È un’eredità sovversiva la sua perché scavalca ogni confine tra pubblico e privato, perché è disponibile a sua volta a essere sovvertita a seconda del luogo e del fruitore, perché insegna che nulla ha senso solo di per sé. Con semplicità, ha minato il valore stesso dell’arte rendendola partecipativa, accumulabile, ripetibile, prelevabile gratuitamente (tutti possono prendere caramelle e manifesti che vengono rimpiazzati).
Tende, specchi, lampadine, caramelle, manifesti, scritte, orologi affiancati, Untitled (perfect lovers), che scandiscono all’unisono l’ineluttabile sovranità del tempo: “ogni volta che vedono un orologio o una risma di carta o una tenda, voglio che ci pensino due volte”, dice l’artista. Un filo poetico, fatto di oggetti quotidiani spesso appaiati per pensare proprio all’assenza di quel “uno” dei “due” per percepire ciò che resta come mancanza. Niente è eterno e immutabile, neppure l’arte può dimenticare di rappresentare anche la sua stessa caducità perché “è sempre una questione di tempo”, Untitled (It’s just a matter of time), scrive nel ’92 a carattere cubitali.
“Politics of Relationship”, la mostra al MACBA di Barcellona, investe anche tematiche politiche come il patriottismo, l’emigrazione, il militarismo. Le 40 installazioni disseminate tra museo e città, sono florilegio di riflessioni, nel tentativo di penetrare l’enigma dell’esistenza e delle azioni umane verso una nuova etica e una nuova estetica. Un ignoto che resta davanti a noi come compito: “Ho avuto fame, sono stato tradito, ero felice, ero triste, mi sono innamorato, ho avuto paura, ho avuto tante speranze, ho avuto un’idea, avevo un buon fine, ecco perché faccio arte.”