Riflettori puntati su uno degli artisti americani più influenti degli ultimi decenni
Essere artista "all’epoca era la cosa più detestabile nella cultura americana. Diventare artista in quegli anni non aveva assolutamente alcun valore. Era come pianificare il proprio fallimento”.
Mike Kelley (1954-2012) non ha pietà per le sue origini, per la sua educazione, per la società americana in cui è nato e cresciuto. Originario di una famiglia operaia cattolica irlandese di Detroit, dagli anni ‘70 contesta il modo in cui la soggettività individuale è costruita dalle strutture del potere familiare e istituzionale nella società capitalista postmoderna statunitense.
LA MEMORIA TRAUMATICA E I MALFUNZIONAMENTI DELL'EDUCAZIONE SONO IDEE COSTANTI DELLA SUA OPERA
La mostra "Ghost and Spirit" alla Bourse de Commerce, sede della Collezione Pinault, propone fino al 19 febbraio 2024 un nuovo sguardo sull’opera di Mike Kelley, uno degli artisti americani più influenti degli ultimi decenni. La rassegna è affiancata da quelle dedicate a Lee Lozano, Ser Serpas e Mira Schor, a sottolineare una nuova stagione in cui la Bourse de Commerce esplora e decostruisce certe "mitologie americane", per riprendere il titolo dell’antologia dell’autore haitiano Dany Laferrière.
IL LAVORO SI NUTRE DI RIFERIMENTI ALLA SUBCULTURA CONTESTATARIA FUSI IN UN'APPARENTE SUPERFICIALITÀ POP E TRASH
Dagli anni degli studi a Los Angeles, Mike Kelley fa proprio il genere della performance, ispirandosi alle militanti femministe, proponendo un approccio innovativo nell’atto creativo che ne destabilizza i canoni. Persegue una visione artistica globale, collaborando con artisti diversi, con gruppi musicali tra cui la formazione proto-punk Destroy All Monsters dal 1974. Realizza le sculture handmade caratterizzate da un tagliente umorismo, le installazioni realizzate con giocattoli e peluche, mettendo in evidenza il condizionamento commerciale e stereotipato sui bambini. La memoria traumatica e i malfunzionamenti dell’educazione sono idee costanti della sua opera, e trovano il loro culmine nella esposizione “Day Is Done” (2005), parzialmente ricostruita in quella parigina. Il suo lavoro si nutre di riferimenti alla subcultura contestataria, al pensiero critico, fusi in un’apparente superficialità estetica pop e trash.
REALIZZA INSTALLAZIONI CON GIOCATTOLI E PELUCHE PER EVIDENZIARE IL CONDIZIONAMENTO COMMERCIALE E STEREOTIPATO SUI BAMBINI
La rassegna prosegue con le spettacolari Kandors (1999-2011), città futuriste poste sotto campane di vetro, esposte nella monumentale Rotonda del museo. Affluiscono nel percorso le “storie minori” della pratica d’artista, come Kelley le chiamava: i disegni, le fotografie e gli scritti preparatori. In una nota del 1980, quella che dà il titolo alla mostra, si interroga sulla differenza tra un fantasma e uno spirito (“ghost and spirit”): il primo finisce per scomparire quando il secondo resiste. L’autore, la cui fine drammatica sembra fondere atto creativo e depressione, pensava di essere un fantasma, e invece il suo spirito permane e si rafforza. “A spirit has a lingering influence”, dice lui stesso. Uno spirito è persistente e permette di sopravvivere nelle proprie opere.