La rassegna, con 115 opere, ripercorre l’intero iter creativo del maestro
Ci sono percorsi nella vita di certi artisti che maturano fin dalla giovinezza, per poi irrompere in un momento preciso e determinare il tema e il linguaggio che li rappresenterà per sempre. È questo il caso di Mark Rothko (1903-1970), artista lettone, giunto negli Stati Uniti da bambino e naturalizzato americano, che ha segnato profondamente le ricerche astratte del secondo dopoguerra.
La Fondazione Louis Vuitton ne ricostruisce la poetica, dal 18 ottobre al 2 aprile 2024, in una grande mostra a cura di Suzanne Pagé, François Michaud e Christopher Rothko, figlio dell’artista, attraverso 115 opere provenienti dalle più grandi istituzioni pubbliche e private internazionali. Sviluppata sull’integralità degli spazi della fondazione, l’esposizione ripercorre l’insieme della carriera dell’artista dalle prime rappresentazioni figurative fino all’astrazione per la quale è conosciuto. Il percorso si apre sulle scene intimiste e i paesaggi urbani degli anni ‘30, come le celebri metropolitane di New York, prima di passare, durante la guerra, al repertorio dei miti antichie delle forme surrealiste, denunciando la dimensione tragica della condizione umana.
IN MOSTRA ANCHE I LAVORI DEGLI ESORDI FIGURATIVI NEGLI ANNI '30
Dal 1946, dopo che la guerra ha maturato nella coscienza dell’artista l’idea di tabula rasa, Rothko compie un decisivo passo verso l’astrazione, attraverso la serie dei Multiforms, in cui le masse cromatiche sono sospese in equilibrio. Negli anni ‘50 la composizione evolve verso un classicismo in cui si sovrappongono forme rettangolari, secondo un ritmo binario o ternario, dominate da toni gialli, ocra, arancioni, blu, bianchi.
DOPO LA GUERRA, CHE HA MATURATO IN LUI UNA DECISIVA TABULA RASA, COMPIE IL PASSO VERSO L'ASTRAZIONE
Nel 1958, Rothko riceve la commessa per le pitture murali del ristorante Four Seasons nel Seagram Building di Mies van der Rohe a New York: un insieme monumentale caratterizzato da un rosso profondo. Ma Rothko decide di non consegnare le opere. Nel 1969 l’artista farà dono di nove di queste pitture alla Tate Modern, che costituirà una sala a loro dedicata nelle collezioni del museo; questo insieme è presentato per l’occasione alla Fondazione Vuitton. Le tinte di Rothko si scuriscono col tempo: i colori vivi lasciano il posto ai grigi e neri, ai blu profondi, ai bicromi, ai monocromi, come nella celebri serie dei Black and Grey del 1969-1970, o nella cappella commissionata da Jean e Dominique de Menil a Houston, inaugurata nel 1971 con il nome di Rothko Chapel, in onore all’artista morto suicida nel 1970.
NEL 1971, UN ANNO DOPO LA MORTE, VIENE INAUGURATA IN SUO ONORE LA CAPPELLA ROTHKO A HOUSTON
La ricerca d’infinito di Rothko, che sembra averlo consumato, termina in un edificio sacro. Ma non è un fatto spirituale, è un’esigenza artistica. “Sono diventato pittore perché volevo elevare la pittura allo stesso livello d’emozione della musica e della poesia” diceva Rothko. E questa vibrante emozione si percepisce in ogni opera dell’artista.