65 ritratti fotografici portano l’attenzione sugli ultimi nativi delle aree più sperdute del pianeta
“Uso la macchina fotografica per arrivare il più vicino possibile all’umanità”, afferma l’inglese Jimmy Nelson, nato nel 1967 a Sevenoaks (Kent), uno dei più importanti fotografi contemporanei che espone per la prima volta in Italia sessantacinque scatti di grandi dimensioni a Palazzo Reale di Milano sotto il titolo di “Humanity” (la mostra è a cura di Nicolas Ballario e Federica Crivellaro, il catalogo è di Skira).
L'OBIETTIVO SI CONCENTRA SULL'IDENTITÀ DEI POPOLI INDIGENI ANCORA NON CONTAMINATI DALLA GLOBALIZZAZIONE
Egli ha frequentato con spirito antropologico gli ultimi nativi di alcune regioni tra le più sperdute del pianeta per testimoniare le nostre origini che ancora oggi sono lo specchio non solo del passato e del presente: si offrono infatti come punto di riferimento essenziale per ogni futuro. “Questa è una lezione che per me non ha mai fine”. Infatti per lui la sola via di salvezza è riuscire a esprimere l’identità, il valore dei popoli indigeni, delle tribù antiche non contaminate dalla globalizzazione per riscoprire un’altra contemporaneità. E aggiunge in proposito: “Occorre umiltà per riconoscere che siamo tutti un solo popolo nonostante le apparenze”.
NEL SUO LAVORO, SI CELEBRA L'ELEMENTO UMANO IN ARMONIA CON LA NATURA CHE LO ACCOGLIE
Nelson scopre a sedici anni, da autodidatta, la fotografia in Tibet. Sceglie quindi di girare il mondo, come aveva fatto da bambino seguendo il padre geologo in Africa, in Asia, in Sud America cercando di entrare in empatico rapporto con le persone che lo ospitano prima di optare per il clic. Una delle cifre espressive del suo lavoro è rappresentata dai ritratti o dalla scelta di gruppi di persone dove si celebra l’elemento umano che si armonizza con la natura che lo accoglie: “Ciò a cui tengo di più sono la bellezza e l’estetica, che dipendono dalla luce”. E per ottenenere tutto questo riveste una basilare importanza la possibilità di conoscere a fondo ognuno dei futuri interpreti dei “racconti”. In tal modo egli riesce a ottenere non l’immagine dell’esteriorità ma il senso di una vita che ancora ci appartiene. Proprio per tale motivo “solo alla fine di ogni viaggio decido un solo, unico scatto”. E in questo unico scatto risiede la preziosità di un messaggio che non solo seduce lo sguardo ma nutre altresì lo spirito di sconosciute o non sufficientemente frequentate, anche dai media, consapevolezze.
"ALLA FINE DI OGNI VIAGGIO DECIDO UN SOLO E UNICO SCATTO"