Dagli esordi negli anni ‘80 la sua cifra stilistica è cadenzata da lastre vitree dalla presenza evanescente
Si può raccontare la luce che si trasforma in impalpabile sostanza attraverso rifrazioni moltiplicate dal vetro che l‘accoglie e ne modifica il tragitto per condurla nel cuore e nello spirito di chi osserva?
Si può se a farlo è un'artista di poetica, straordinaria sensibilità come ōki Izumi, capace di tradurre una folgorazione visiva o un pensiero estatico in un’opera d‘arte che annulla ogni fragilità legata al materiale scelto per il suo impegno creativo.
Nel 1991 Gillo Dorfles scriveva in proposito: “È forse proprio il contrasto tra la rigidità e il rigore delle lastre vitree e la loro evanescente presenza ad avere attratto la volontà ideativa di ōki: da un lato sollecitando la sua ansia di precisione, di ordine numerico, di quasi ossessiva ricerca di proporzioni armoniche e numeriche (...); dall’altro lato evidenziando l’idea del vuoto - questa costante del pensiero zen - dell’intervallo, dell‘aperto-chiuso che, con il materiale vitreo, poteva agevolmente venire espressa...”.
HA SAPUTO ALIMENTARE UN DIVENIRE COMPOSITIVO AL DI LÀ DELLO SPAZIO E DEL TEMPO
Un concetto che vale per tutte le opere concepite dagli anni ‘80 fino a oggi da un'artista che ha saputo alimentare un divenire compositivo fuori da ogni spazio e da ogni tempo e pertanto sempre prodigo di rinnovabili stupefazioni contemplative.
Proviamo a interrogare qualche sua opera per interrogare noi stessi che ne subiamo il fascino: se *Glassy shell* del 2007 cattura per un avvolgimento che ingloba e distribuisce flussi ondiformi, *Costruzione celeste* del 2011 tenta direttamente le vie del cielo con una ritmica fuga ascensionale di desideri e di speranze; quindi *Memoria trasparente* del 2003 sembra suggerire l’anticipazione di un celeste spartito musicale che conquista ritmicamente lo spazio e lo determina.
OPERE CHE SEMBRANO CONDURRE VERSO UN MIRAGGIO CHE LEI TRASFORMA IN EMOZIONI E PENSIERI
E così fino a oggi e per sempre perché, oserei dire, ōki Izumi semina qualcosa che travalica il suo e il nostro tempo e quello che si è consumato prima di noi e quello che verrà: il suo gesto, vogliamo ripeterlo, non può essere trattenuto e sigillato, sembra ambire all‘infinito.
In occasione di una recente esposizione, Leonardo Lattuada ha osservato, a proposito dell‘universalità dell‘artista giapponese: “sembra astratta, minimalista, orientaleggiante, ma risulta perfettamente comprensibile in ogni latitudine che abbia qualche nozione euclidea”.
GLASSY SHELL INGLOBA E DISTRIBUISCE FLUSSI ONDIFORMI
È un atteggiamento che sembra comunque sfuggire al tatto anche quando il suo intento narrativo si sofferma sulla illusoria staticità di un recipiente o di un libro posato su un ripiano come parrebbe avvenire in *Vaso d’acqua* del 2016 e in *Omaggio a Kandinsky* del 2002.
Tale aspetto compositivo ha l’aria di condurci verso un miraggio, il miraggio di lei che trasforma le cose in pensieri.
TRADUCE UNA FOLGORAZIONE VISIVA IN UN'OPERA CHE ANNULLA OGNI FRAGILITÀ LEGATA AL VETRO
E allora? Affidiamoci definitivamente a *Percorso* del 2007 che si snoda verso quell’infinito che per qualità interpretativa e per diritto intimamente le appartiene.
Artista rappresentata da Lattuada Gallery - Milano.
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