Quando le aste abbattono i miti - 40 anni fa, la vendita all’incanto della collezione di Achille Lauro

Se si parla di Achille Lauro, nell’immaginario collettivo dei giovani d’oggi, si pensa subito al cantautore hip-hop e alle sue controverse partecipazioni a Sanremo. Ma il suo nome d’arte deriva, in effetti, dall’armatore napoletano che, tra gli anni ’50 e ’70, fu tra i più importanti imprenditori italiani, oltre che Sindaco di Napoli, Deputato al Parlamento e Presidente del Calcio Napoli. Una figura quasi mitologica per la città partenopea e per tutto il Mezzogiorno, Lauro possedeva una straordinaria collezione d’arte. Un bellissimo Mattia Preti, alcune opere del ’900, l’antico biliardo sul quale aveva giocato Orazio Nelson ma, soprattutto, sei splendidi arazzi del 1692 della manifattura reale di Beauvais, appartenuti a Luigi XIV, il Re Sole che parlano delle sue conquiste.

Quarant’anni fa, questo patrimonio di arredi, formato da 962 lotti, fu posto all’incanto per far fronte a un crack finanziario sicuramente evitabile. Le tante navi del Comandante, a quanto sembra, furono poste in vendita come ferro vecchio, riducendone drasticamente il valore e l’asta dei beni Lauro apparve a molti uno schiaffo postumo, a due anni dalla scomparsa dell’imprenditore sorrentino. Fu, probabilmente, il più importante incanto tenutosi a Napoli nel ‘900. Quattro tornate, due giorni di vendita, l’attesa pruriginosa di una città smarrita. La vendita, curata da Semenzato, si svolse a Villa Lauro, nel cuore più chic della città.

E la gente accorse in massa. Sciamò all’interno della dimora più prestigiosa dell’armatore per vedere con i propri occhi cosa possedeva, cosa custodiva, cosa contenevano quegli spazi misteriosi. Ma non c’era solo il gusto della scoperta. C’era anche quella curiosità compulsiva che accompagna determinati riti collettivi, la morbosa eccitazione di quel momento assolutamente speciale.

I giorni dell’esposizione volarono rapidi e, privi allora di offerte via web, centinaia di persone accorsero al richiamo di quel martello. Nulla era stato lasciato al caso. Un catalogo attento e puntuale con un rigoroso elenco dei lotti, quella provenienza sbandierata come un piccolo trofeo, l’amo lanciato anche per le cose più piccole e personali, convinti che tutti, al momento giusto, avrebbero provato a portare via un qualsiasi ricordo di quella straordinaria storia.

Nel frattempo, prestigiosi professionisti, protagonisti dell’aristocrazia partenopea e qualche antiquario romano sembravano contendersi la merce più prestigiosa. Uno tsunami di acquisti si abbatté su quei 962 lotti, disperdendo tutto in mille rivoli. Ma l’incasso di oltre 2 miliardi di lire fu solo un modesto contributo alla copertura di quel crack finanziario.

Come in tante aste del passato, fu importante solo, in quelle sere, disarcionare paradossalmente quel mito che per decenni, aveva dominato e affascinato Napoli. Base d’asta, siamo nel 1984, quattrocento milioni di lire.

L'Autore

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Custodisce mille interessi. Giornalista, saggista, medico chirurgo plurispecialista, ma soprattutto napoletano, il mestiere forse più difficile e complesso. Ama la vivacità culturale, le tesi in penombra, la scrittura raffinata e ribelle. Ma ama anche la genialità del calcio e la creatività dell’arte. Crea le sue rubriche settimanali su alcuni quotidiani nazionali muovendosi sul pentagramma del costume, dei new-media, della cronaca. È stato più volte senatore e parlamentare della Repubblica perché era affascinato da quella battaglia delle idee che oggi sembra, apparentemente, scolorirsi.

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