Nella rete di Carolina - New York: Caycedo al MoMA

11 reti da pesca di 4 comunità di pescatori messicani diventano installazione dagli accenti onirici

La lingua spagnola, in ogni epoca, in ogni dove, non ha mai smesso di tentare di definire i confini del sueño. E di oltrepassarli. O confonderli con quelli della veglia. Sogna o è pazzo il Chisciotte di Cervantes? Se l’intera esistenza è vaga, evanescente e leggera, come ne “La vida es sueño” di Calderón de la Barca, come possiamo distinguere l’onirico dal reale? Davvero c’è chi è ancora così ingenuo da credere che sia possibile alcuna attività creativa senza la capacità di sognare, ci chiederebbe la filosofa María Zambrano? I più onirici esponenti di quella religione (e di tutte le sue eresie) composta di sogno e inconscio non sono forse stati Miró e Dalí?

PEZZI DI PORTALI, AQUILONI, ROSONI DI CHIESE NON ANCORA EDIFICATE O GIÀ ABBATTUTE O FORSE SOLO SOGNATE

Se è vero che non c’è cosa più comune del sogno, è altrettanto vero che non c’è cosa più personale. Parlare dei propri sogni è difficile come ricordarli. Si è nudi e esposti, nei sogni. Condividerli il più delle volte è ridicolo o impudico. Ma è proprio questo accenno a una dimensione comunitaria del sogno a rendere interessante l’accento sulla sfera onirica della mostra “Spiral for Shared Dreams”, di Carolina Caycedo, artista nata a Londra da genitori colombiani e di base a Los Angeles, dove lo spagnolo è parlato quanto è più dell’inglese (in mostra al MoMA fino al 19 maggio). La rassegna raccoglie undici atarrayas, reti da pesca, da quattro comunità messicane di pescatori, e ne fa un’installazione. Questi pezzi di forme circolari o spiraliformi, come portali, aquiloni, rosoni di chiese non ancora edificate, o già abbattute, o forse solo sognate, il più delle volte mostrano simboli semplici, più o meno collegati alla realtà della pesca: un occhio, uno scampo, simboli magici appartenenti alla cultura precolombiana.

NELLE OPERE SEGNI INTESSUTI DA COMUNITÀ CHE RISCHIANO DI SCOMPARIRE A CAUSA DELLO SFRUTTAMENTO DEI CORSI D'ACQUA

Racconta, l’esposizione, o meglio l’installazione di Caycedo, di simboli umili, immediatamente riconoscibili, sospesi per aria, e di fattura collettiva. Segni intessuti da comunità che rischiano di scomparire a causa dello sfruttamento dei corsi d’acqua, che come arterie, o i fili di una rete da pesca, collegano punti lontani diretti verso un unico centro. Dove si trova, però, questo centro? Nella sfera del sogno o in quella della realtà? In quella dell’attivismo o del consumismo? E dove si trova l’arte rispetto a questi due poli? La semplicità delle opere di Caycedo, e la loro dimensione comunitaria, così vera e ingenua (non è forse l’artista sognatore uno dei più comuni, stereotipati e insopportabili luoghi comuni riguardo all’arte), sembrano suggerire che mentre il progresso continua a infliggere miti e danni al nostro pianeta, solo all’arte e al sogno sono rimasti la capacità di farci regredire. Per Freud, la regressione è un processo di soddisfacimento dei propri desideri nel sonno, quando è difficile o impossibile soddisfarli nella realtà. Desiderare insieme dovrebbe essere questo. Un sogno. Qualcosa di semplice. Anche una vertigine.

L'Autore

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Traduttore per diverse case editrici italiane, collabora con AW ArtMag per la recensione dei più interessanti libri d’arte pubblicati all’estero e ancora inediti in Italia.

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