Monte Carlo • Alberto Giacometti al Grimaldi Forum
230 le opere in mostra, tra sculture, dipinti e stampe. In esposizione, anche La donna cucchiaio, L’uomo che cammina e il Grande nudo femminile
Alberto Giacometti (1901-1966) nasce all’alba del nuovo secolo, figlio d’arte, suo padre Giovanni è un pittore post impressionista. A vent’anni si trasferisce a Parigi e studia con Émile Antoine Bourdelle, allievo di Rodin. Presto si rende conto che per lui fare scultura è ben diverso dal riprodurre la realtà per quello che appare, pensiero che lo avvicina al movimento surrealista, di cui entra a far parte nel 1928, staccandosi subito per iniziare una ricerca in rigoroso isolamento. La sua è sperimentazione ossessiva e continua alla ricerca di decifrare l’umano: “ogni scultura o pittura è un lungo esercizio per tentare di conoscere quello che vedo”.
Ritrae spesso le stesse persone – il fratello Diego, la madre, la sorella Ottilia, la moglie Annette, la sua amata degli ultimi anni, Caroline , tenta di mettere a nudo ciò che esiste oltre ogni apparenza. Nessuno psicologismo, isolando il soggetto e sfaccettando, scavando, manipolando, assottiglia la forma all’estremo: “levare, levare materia e mentre lo faccio ho l’impressione di dover ancora togliere”, fare e distruggere, lasciare, riprendere, ogni giorno tutto ricomincia da capo, abbandona spesso ciò che fa, mai soddisfatto del risultato ottenuto, che ritiene sempre “non finito”.
Vita e morte si equilibrano nella verticalità immota di sculture che sembrano reperti archeologici
Escono dalle sue mani opere filiformi, tese, dense, fragili e resistenti, teste che si assottigliano come lame, figure di donne in cui vita e morte si equilibrano in una verticalità immota, sculture che sembrano reperti archeologici, dipinti che hanno la forza di idoli, modelli atemporali dell’umano, come nell’arte egizia o etrusca. Le opere risultano specchi della crisi esistenzialista del ‘900, con le amare, indelebili tracce che due guerre mondiali lasciano sull’umanità ferita: “Io faccio pittura e scultura per mordere nella realtà, per difendermi, per nutrirmi”.
Emilie Bouvard, a Montecarlo, con 230 opere della Fondazione Giacometti, della quale è direttrice scientifica, realizza, attraverso sculture, dipinti e stampe, una grande retrospettiva, allestita al Grimaldi Forum. Il percorso si articola come una partitura, con un prologo a cui segue lo sviluppo dei temi con variazioni, volto a restituire lo spirito dell’artista e l’atmosfera del suo atelier. Figure femminili di gesso, ieratiche come divinità preistoriche, La donna cucchiaio (1927) e la donna le cui mani tengono il vuoto (1934-1935) aprono la mostra, e L’uomo che cammina (1960) e il Grande nudo femminile la chiudono.
Nel mezzo, l’arco creativo di tutta una vita dedita a cercare “d’afferrare nel vuoto il filo bianco, invisibile del meraviglioso”.