I manifesti, le locandine, le fotobuste, le brochure sono oggetti di culto per collezionisti
Acerbo, Avelli, Brini, Campeggi, De Berardinis, De Seta, Martinati sono solo alcuni dei maestri che si sono dedicati alla pittura per il cinema
Di Domenico Livigni. Manifesto e spettatore creano, attraverso il cinema, un contatto irripetibile. Il manifesto cinematografico è un settore di spazio preciso, di diversa ampiezza e configurazione, affina emotivamente la personalità del pubblico e svolge allo stesso tempo una funzione narrativa e una descrittiva. L'industria cinematografica, fin dalle sue origini, l'ha sempre considerato come un elemento indispensabile, fondamentale, nella valorizzazione del film. Tanti sono stati gli artisti che in passato hanno dato un apporto significativo al mondo della settima arte: Acerbo, Avelli, Brini, Campeggi, De Berardinis, De Seta, Martinati sono solo alcuni dei maestri che hanno dedicato tutta una vita all’arte della pittura per il cinema. Nel periodo tra le due guerre mondiali, in un’epoca ancora povera di mezzi di comunicazione, i film venivano pubblicizzati attraverso manifesti illustrati magistralmente da valenti pittori, in modo fantasioso e minuzioso nei dettagli, che attiravano l’attenzione del pubblico provocandone una reazione di curiosità e stupore. In una policromia vistosa, affissi ai muri delle città o sui frontoni delle grandi o piccole sale, partecipavano alla nobilitazione del cinema presso un pubblico eterogeneo, sia di formazione che di età. A partire dal secondo dopoguerra, con l’aumento della fruizione dei cinema, aumentò anche la produzione di immagini su carta stampata. Ai manifesti si aggiunsero le locandine e le fotobuste da affiggere nelle sale o sulle mura cittadine. Come osserva attentamente lo scrittore e critico cinematografico Emiliano Morreale nel suo volume “Così piangevano: il cinema melò nell’Italia degli anni cinquanta” (Roma, Donzelli Editore, 2012, p. 149): “Se il manifesto vero e proprio del film di dimensioni notevoli (100x140) rappresenta ‘la chiamata’, il modo in cui il film si offre allo spazio pubblico, le locandine e le fotobuste, di formato più ridotto e da situare anche negli spazi liminali della sala, impostano un dialogo più avanzato con lo spettatore”. Oggi, a distanza di molti anni, i manifesti, le locandine, le fotobuste, le brochure sono diventati oggetti di culto per i cinefili e collezionisti. Il corredo pubblicitario cinematografico è diventato negli anni protagonista di un collezionismo considerato fino a qualche decennio fa insolito (quantomeno in Italia), salvo poi conoscere uno sviluppo dilagante in tempi più recenti. La rarità e la bellezza estetica, l’originalità, la firma prestigiosa del disegnatore, l’importanza del film sono tutti elementi sufficienti a far assumere a questo materiale il ruolo di testimone storico; i prezzi variano a seconda della pellicola. Più il film è noto, fondamentale nella storia del cinema, più alta sarà la sua quotazione. Un esempio eloquente, ma solo uno dei tanti, è l’intera gamma di soggetti pubblicitari per la distribuzione italiana del film “Roma città aperta” (R. Rossellini, 1945), realizzata dal pittore e cartellonista Anselmo Ballester. Considerato il manifesto del neorealismo italiano, i materiali promozionali, legati alla prima uscita del lungometraggio, raggiungono ora cifre considerevoli, che superano talvolta i 3.000 euro.