Ferran Selvaggio in mostra a Osaka
Incontriamo Ferran Selvaggio in occasione della sua personale alla galleria Popelier.
Cominciamo dalla fine: raccontaci di questa nuova mostra.
"Nippon Red Series" è ospitata dalla Galleria Popelier. Si tratta di una riflessione abbastanza ampia sulla mia visione del Giappone e delle sue città.
Quando si entra in una casa tradizionale giapponese, si ha la sensazione di viaggiare nel tempo attraverso gli odori, le luci e le emozioni dell'ambiente. È come entrare nel cuore della cultura nipponica.
In questi anni sono state demolite molte case antiche, alcune con ragione, altre senza. Cambiando le personalità dei quartieri ed escludendo gli abitanti storici, quelle zone finiscono per perdere l'anima. Le nuove costruzioni sono scatole bianche, quadrate che trasformano i quartieri antichi in dormitori privi di vita.
Com'è stato l'impatto con il Giappone, una terra per noi europei lontana?
Fin dall'inizio, mi sono reso conto di quanto avessi da scoprire, conoscere e vedere. Però qui tutto avviene con una pace e una tranquillità sconosciuta in Europa. Ogni giorno mi raccontano una nuova storia, introducendomi alle loro tradizioni millenarie, che tutta la società continua a mantenere e promuovere.
È stata molto difficile per me la decisione di lasciare Barcellona, ma sono convinto di aver fatto la scelta giusta; non avrei mai trovato quanto ho incontrato qui.
C'è un filo conduttore tra tutte le tue opere. Negli anni si nota come ogni serie fondi le sue radici in quelle precedenti.
Il mio lavoro è cambiato nel tempo. Non smetto di osservare, guardare, imparare e riflettere. Spesso continuo a investigare sullo stesso tema attraverso l'approfondimento di lavori anteriori, perchè credo che il discorso non sia ancora finito. Per questa ragione le mie sono opere uniche e fanno parte di un unicum.
A che cosa pensi quando disegni?
Difficile da spiegare. Dipende dall'opera a cui sto lavorando. A volte a un mare calmo, altre a uno con tempeste spettacolari. Immagino luci e ambienti esoterici, provo tristezza e felicità. In ogni linea tracciata c'è una piccola storia.
Com'è avvenuto il passaggio dalla pittura tradizionale alla scultura e alla fotografia.
Si è trattato di una evoluzione semplice, naturale, relativa alla mia crescita come artista.
Ho sempre cercato di non rimanere fermo. Imparare e padroneggiare nuove tecniche mi ha permesso di ampliare le possibilità di esprimermi. Adesso mi sto occupando di automazione e di intelligenza artificiale.
Quali sono i tuoi riferimenti artistici?
Sono cresciuto con gli artisti tradizionali. Nel tempo ho scoperto altre forme più vicine a me, differenti tra loro, ma tutte legate, come quelle di Alberto Burri, James Turrell, Robert Smithson, Fabrizio Plessi, Marcel Duchamp, Joan Brossa.
Quali sono i tuoi sogni e i tuoi obiettivi?
Continuare a creare, fare di più come artista e come persona. Facile a dirsi, difficile procedere sempre in una ricerca infinita.
Un consiglio a un giovane artista.
Guardare e disegnare. Studiare, imparare e farsi una opinione propria. Non tutto quello che ci dicono essere arte, lo è davvero.