Claustrofilia quanto ti amo

22 Giugno 2021

Parigi. Da Perrotin l’ultima performance di Abraham Poincheval

L’artista non è nuovo a questo tipo di performance: rinchiudersi dentro un orso, una roccia, una bottiglia. Ma a livello collettivo la lunga esperienza del lockdown rende il pubblico più sensibile al suo operato

In questi giorni, alla galleria Perrotin di Parigi, un’insolita scultura presidia la prima sala della mostra dedicata ad Hans Hartung, uno dei più importanti maestri del ‘900. Ciò che resta dell’ultima iniziativa di Abraham Poincheval è un involucro argentato, circondato dai lavori in rassegna, al centro della stanza, in cui il performer francese ha vissuto, rinchiuso, per una settimana. Sul basamento rettangolare bianco, però, non poggia soltanto la figura perfettamente ricalcata dalle sembianze dell’artista. Si nota, infatti, che il volto è collegato frontalmente a una struttura piramidale rovesciata con, sul fondo, una tela rivolta verso l’interno.

Alla base dell’iniziativa sussistono condizioni di costrizione fisica e psicologica che possono sconvolgere. L’uomo ha trascorso 7 giorni all’interno di questo guscio, senza alcuna possibilità di movimento o di interruzione, svolgendo una e una sola attività: la contemplazione di un dipinto di Hartung. Il record di osservazione continuativa è indubbio, considerando che il tempo medio stimato di un utente di fronte a un’opera d’arte è di circa 30 secondi.

Abraham Poincheval non è nuovo a perfomance claustrofile. Il suo curriculum vanta un’interessante lista di scelte sopra le righe: ha trascorso 13 giorni all’interno del ventre di un orso impagliato nel Museo della caccia e della natura di Parigi (2014), ha risalito il fiume Rodano servendosi di una bottiglia di vetro che lo conteneva (2015), ha vissuto dentro un vano scavato in una roccia di 12 tonnellate al Palais de Tokyo (2017) dove ha inoltre “covato” un uovo per 21 giorni esponendosi in una teca (2017), ha camminato per 40 km indossando un’armatura di 30 kg d’ispirazione medievale sotto il sole estivo della Bretagna (2018).

Il tema della solitudine come opportunità di riflessione, della chiusura fisica come occasione di apertura mentale richiamano in parte anche la condizione di restrizione che ha riguardato l’intera umanità, durante questa pandemia. Poincheval, nelle sue prove, non ricerca autolesionismo e sofferenza ma piacere: nella preparazione atletica e mentale l’obiettivo ultimo è il viaggio interiore, attraverso l’apprendimento del sé. Dove molti di noi provano disagio, lasciandosi sopraffare dall’ansia se non dalla fobia, il performer trova la forza di dominare le proprie pulsioni.

Il tempo, una risorsa che la società contemporanea è avvezza a monetizzare, all’interno delle sue gabbie anguste è dilatato dall’immobilità, perdendo concretezza.

Neanche la possibilità di scegliere l’oggetto della sua lunga osservazione ha aiutato il protagonista, che ha scoperto soltanto sul momento con quale delle opere di Hartung avrebbe trascorso la settimana.

La portata unica dell’impresa ha contribuito a suscitare l’interesse delle neuroscienze per l’esperimento. Le attività cerebrali dell’uomo sono state, infatti, monitorate e registrate tramite appositi dispositivi durante tutta la durata della performance, con lo scopo di descrivere dal punto di vista scientifico l’esperienza della percezione estetica, attraverso i segnali elettroencefalici.

Se l’energia vitale sprigionata dall’astrazione, dall’emancipazione delle forme dei lavori di Hartung, dalla storia della sua vita come storia di resistenza ha contribuito a far spiccare il volo alla fantasia di Poincheval nei momenti di sconforto o ha accentuato il senso di angoscia e di isolamento non possiamo saperlo. Non ci resta che attendere la conferenza del 1 luglio quando artista, scienziati e psicologi tireranno le somme. Nel frattempo, potremmo riflettere, sicuramente in un contesto più confortevole, sulla superficialità con cui, sempre di più, ci guardiamo intorno.

 

 

L'Autore

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Giornalista pubblicista e assistente di redazione. Dagli studi linguistici rimbalza a quelli di ingegneria e approda nel digital marketing, attraverso un processo di liberazione cinetica. Performer in una galleria di Pietrasanta, conosce nel 2019 il direttore di AW ArtMag a cui si lega professionalmente, unendo la sindrome di Stendhal per Boltanski all’esaltazione per l’editing. In ufficio, è tête-à-tête col pc. A casa, guarda dalla finestra, pensa, scrive e progetta il prossimo reportage.

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