Un’allucinazione ipnotica e spiazzante quella di Sarah Sze alle Officine Grandi Riparazioni con la mostra “Metronome”, inaugurata durante la Torino Art Week, a cura di Samuele Piazza. A metà tra il cibernetico e l’artigianale, l’installazione dell’artista di Boston racchiude simboli universali e trasmette, al contempo, la bellezza confusionaria della contemporaneità. Un cervello, una galassia, un globo, una sfera idealmente delineata da elementi sospesi, alcuni dei quali in movimento, altri, come gli schermi, popolati da immagini dinamiche, proiettano sulle pareti, i pavimenti e i soffitti del binario 1 specchi d’acqua, voli di uccelli, sagome umane, in una danza scandita dal suono incessante di un metronomo. Nel contesto ex industriale e riqualificato delle OGR, dove una volta i treni sostavano per manutenzione, l’opera trova energia pulsante per compiersi nella magica sovraincisione di una traccia di passato. Vulcani in eruzione, mani che scavano nella sabbia, fiamme ballerine di una candela, animali liberi sono gli elementi naturali, gli oggetti del quotidiano, le forme di vita e i loro sensi che scorrono e lampeggiano sui monitor, scanditi da un ticchettio capace di restituire la dimensione del tempo, la risorsa più preziosa, a volte rincuorante, altre inesorabilmente spietata. Un dedalo interdipendente di input e output si lascia incasellare da una solida struttura reticolare che dispone ordine estetico nel caos e rimescola le fonti con i risultati, creando a sua volta la propria narrazione. L’effetto è esplosivo, volutamente entropico, a rappresentare il continuo bombardamento di messaggi che caratterizza la società moderna e complica il tentativo di identificarne una direzione univoca. I meccanismi cerebrali con cui riceviamo, filtriamo, produciamo e contaminiamo la grande quantità di informazioni che, diversamente, ci travolgerebbe trovano parallelismi tecnologici e metaforici, come le torrette ruotanti in legno di videoproiettori, circondate da matasse di cavi, bottigliette d’acqua, lampade, sculture floreali, contenitori di caffè, segnali forse di un laboratorio, di un dietro le quinte in cui l’uomo, i materiali semplici e l’informatica operano congiunti. Alcuni sostengono che, prima di morire, la nostra mente ci accompagni in un viaggio tra i ricordi, archiviati nel corso della vita con misteriosi criteri. Si potrebbe immaginare che questo processo abbia sede in una sorta di ufficio, tra il rudimentale e il raffinato, dove il sistema neurocognitivo, magari rappresentato da un piccolo ma complesso telaio sospeso tra un organismo vivente e un circuito, fa straordinari su straordinari per assimilare dati fino alle tanto meritate ferie finali. Sarah Sze, che alla Columbia University insegna arti visive, non è nuova agli ambienti ferroviari. Ha, infatti, realizzato un intervento site-specific in una stazione abbandonata di Londra. Ora, espone per la prima volta in un’istituzione italiana fino all’11 febbraio 2024, dopo numerose rassegne in tutto il mondo - come quella al Guggenheim di New York appena conclusasi - e dopo aver rappresentato gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 2013.