In mostra una ventina di lavori inediti che hanno per tema le rotte mediterranee
Il Mediterraneo come spazio di un racconto che va avanti da secoli, che ha creato e contaminato la nostra cultura, con le migrazioni che ci hanno fatto diventare quello che siamo. Questo lo sfondo della mostra di Giuseppe Modica “Rotte mediterranee e visione circolare”, negli spazi della Casa Museo Hendrik Christian Andersen, a cura di Maria Giuseppina Di Monte e Gabriele Simongini.
Originario di Mazara del Vallo, l’artista vive e lavora da oltre 30 anni nella capitale. Di levatura internazionale, è tra i principali esponenti di una nuova metafisica che si focalizza sul Mediterraneo: la Sicilia, con la sua cultura, la sua storia, la sua posizione centrale nel Mare Nostrum, come veniva chiamato ai tempi dell’antica Roma. E ciò non solo perché è quello su cui affacciava l’Impero, ma rappresentava il crocevia di interconnessioni con gli altri territori conquistati. È a quelle rotte commerciali, ma soprattutto culturali, che si interessa l’artista. Con i suoi lavori riflette sugli spostamenti in massa che si sono sempre succeduti dai tempi dei fenici, dei greci, degli arabi, fino a quelli della nostra tragica attualità.
"IL BLU È IL COLORE DEL RESPIRO E DELLA LIBERTÀ E DELLA VASTITÀ DEL FIRMAMENTO"
La rassegna propone una ventina di olii su tela quasi tutti inediti, realizzati negli ultimi anni. Come racconta lo stesso Modica, il Mediterraneo non è inteso come una mitica Arcadia ma come un luogo segnato da varie vicissitudini. Il colore prevalente è il blu, il colore del mare, ma anche “il colore dell’atmosfera e della lontananza, il colore della spiritualità e della contemplazione. E poi con il blu si accendono tutti gli altri colori, come i rossi e gli ocra che sono l’energia vitale della luce. Il blu è un contrappunto necessario alla luce. È il colore del respiro, della libertà e della vastità del firmamento”.
L’artista si astiene da una valutazione sugli esodi recenti, ne prende atto come un qualcosa di inesorabile, che c’è sempre stato e che ci sarà ancora, perché i popoli si muovono, si contaminano. Il mare diventa, così, una grande autostrada, affascinante nel suo insieme, ma piena di episodi tragici di morte e disperazione. Le sponde dell’isola sono in queste tele luminose, una sorta di approdo a cui si giunge come alla fine di un drammatico tunnel d’acqua; diventano anche sottilmente inquietanti nell’allusione al dramma delle troppe vite spezzate, dai destini mai compiuti. La calma è solo apparente.
LE SPONDE DELL'ISOLA SONO, IN QUESTE TELE LUMINOSE, L'APPRODO ALLA FINE DI UN DRAMMATICO TUNNEL D'ACQUA
Modica rappresenta il mare, non le tragedie che vi si consumano, ma costringe l’osservatore a fare i conti con la nostra geografia e con i legami con i profughi attraverso il non detto: la contraddizione e l’indifferenza con cui, ai giorni nostri, questi luoghi vengono proposti prevalentemente come mete turistiche, ignorando la strage continua che vi si perpetua. Attraverso il suo pennello, la tragedia si fa lirica, poesia. Asciuga al massimo linguaggio e forme, scarnificandole. Si affida alla luce e alle ombre, alle prospettive, alle geometrie.
TUTTO NEI SUOI LAVORI EMANA UN'ATMOSFERA RAREFATTA, ENIGMATICA E SOSPESA
Davanti ai nostri occhi, una sequenza di stanze spoglie con qualche oggetto ricorrente: quadri, specchi, cavalletti, carte geografiche, teschi adagiati sulla sabbia a rendere ancora più inquietante l’allusione alle vittime dei naufragi. Tutto in questi lavori emana un’atmosfera rarefatta, enigmatica e sospesa. Il pensiero va alle afose ore del meriggio insulare, con finestre e terrazze spalancate sul paesaggio marino per cogliere la brezza: la Sicilia di ieri, di oggi, di sempre.