Bella, talmente bella da svenire. Non sono solo le parole di un innamorato al cospetto della sua adorata. Per la psichiatria, se l’incantamento è provocato da un’opera d’arte si tratta di una affezione vera e propria: la sindrome di Stendhal.
I sintomi si potrebbero facilmente confondere con quelli indotti da malori più comuni come un calo glicemico, una pressione troppo bassa o troppo alta, un attacco di cervicali. Se non che tachicardia, vertigini, sudorazione improvvisa, ronzii auricolari, allucinazioni, perdita di conoscenza si possono manifestare anche quando gli occhi si posano su un dipinto o su una scultura di straordinaria bellezza. La patologia non va presa sotto gamba. Per alcuni, può diventare così invalidante da richiedere ricoveri ospedalieri e lunghe cure psicanalitiche. In altri, il rapimento estetico può coincidere con una pericolosa forma di isteria, fino a sfociare nella distruzione del capolavoro ammirato. La causa? La sensazione angosciante di non riuscire a contenere emozioni così potenti e diverse rispetto al proprio consueto vissuto personale. Una sorta di alluvione emotiva, per cui l’io viene travolto e soccombe. Pare che colpisca persone particolarmente sensibili e, in linea di massima, chissà come mai stranieri. Noi italiani, a quanto pare, ne siamo pressoché immuni, forse perché un po’ cinici, incuranti, o perché viziati da una ultra millenaria convivenza con il sublime. Certo, a noi è difficile che accada di entrare in un museo e uscirne ammalati di nervi per eccesso di godimento estetico. Se ci saltano i nervi è piuttosto per il contrario, specie di fronte alle troppe pseudo provocazioni di molta arte contemporanea. Quante megamostre in prestigiose sedi espositive internazionali, quante biennali di Venezia, quante edizioni di Documenta a Kassel abbiamo visto promettere un piacere che poi non mantengono. Al punto di provare un pizzico di invidia per le svenevolezze di quei poveri visitatori afflitti dalla sindrome e di auspicare di prendere la loro stessa malattia. Ci accontenteremmo perfino di una forma lieve, pur di provare anche noi un leggero raptus estatico, di avvertire un brivido, per qualche attimo di sentire le farfalle nello stomaco. Come Stendhal, in piccolo.
Annotava lo scrittore in visita a Firenze durante il grand tour del 1817: “Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e dai sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere”.
Beato lui, ci viene da dire due secoli dopo.